<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Quasi 40 mila laureati veneti all’estero

Due milioni di giovani in 10 anni, tra il 2011 e il 2019, se ne sono andati dall’Italia; di questi, circa 40mila sono laureati veneti. E la perdita complessiva calcolata è di 520 miliardi di euro, considerando tutte le spese sostenute per allevare e istruire una persona e moltiplicando il dato per tutti i ragazzi italiani «persi». A calcolarlo, sulla base dei dati Istat, è la Fondazione Nord Est, che ieri ha presentato nella sede di Confindustria Verona in piazza Cittadella il proprio Rapporto 2022, in un incontro dal titolo «Il futuro sta passando; chi è pronto e chi no». «Gli italiani fino a 39 anni che risultano nel registro dei residenti all’estero sono 500mila circa negli ultimi 10 anni», ha precisato Luca Paolazzi, direttore scientifico Fondazione Nord Est, «ma il dato è sottostimato e va moltiplicato per quattro». In Veneto i laureati fuggiti sono poco meno di 10 mila, che in realtà diventano circa 40 mila. Che fare? Unica ricetta per fermare questa emorragia di nuove generazioni, le più digitali e «green», secondo Paolazzi, è investire in competenze e cultura, e far sì che l’«osmosi involontaria» che esiste tra soggetti diversi nel Bel Paese diventi consapevole.

L’Italia «maltratta i giovani» Nell’incontro Paolazzi ha voluto sfatare la convinzione che l’economia sia un’arida disciplina fatta di cifre e statistiche, inserendo intervalli poetici e attoriali tra una slide e l’altra, perché un futuro inimmaginabile richiede competenze cognitive, emotive e comportamentali. Una proiezione a tratti drammatica, quella tratteggiata da Paolazzi. Ma che, altrettanto drammaticamente, si fonda su dati concreti e in particolare sui numeri che raccontano come «l’Italia maltratta i suoi giovani».

L’attrattività necessaria E se i giovani sono il futuro, del Paese e anche di questo territorio («perché non ci sono grandi differenze tra una regione e l’altra»), è necessario allora un cambiamento di rotta deciso e rapido. «Tuttavia credo che nella nostra provincia ci siano le condizioni per ottenere grandi risultati con uno sforzo minore», ha detto Raffaele Boscaini, presidente di Confindustria Verona, padrone di casa dell’evento. La chiave di volta, l’elemento che fa la differenza, si chiama «attrattività». E Boscaini l’ha spiegata in questi termini: «Verona dimostra di essere attrattiva perché registra una presenza importante di multinazionali. Penso ad esempio a un imprenditore che guida proprio una di queste imprese e che sta facendo in questo periodo un investimento importante. Gli ho chiesto perché farlo nella nostra provincia, pensavo mi parlasse delle infrastrutture, invece mi ha detto che qui ci sono le competenze. E che se non ci sono, arrivano e restano». E c’è anche altro: «Riflettevo con il sindaco Damiano Tommasi sul fatto che molti uomini delle istituzioni, come prefetti o vertici dell’Arma, hanno deciso di fermarsi a Verona, perché è una città dove si sta bene ed è inclusiva». Certo, i numeri – quelli della natalità e della fuga di cervelli - non premiano nemmeno il nostro territorio, «e infatti stiamo lavorando per rendere Verona ancora più attrattiva», ha confermato Boscaini, raccontando il progetto Verona 2040 «che vuole prendere i progetti presenti nella città e metterli a sistema intorno a un pensiero che abbracci tutti gli aspetti, immaginando per il futuro una Verona fatta di bellezza e di competenze», ha aggiunto il presidente, «perché non possiamo contare solo su di noi ma è necessario attrarre e, quindi, cambiare mentalità. Dobbiamo aprirci». Il suo settore, quello del vino, pare esserci riuscito. E Boscaini svela la ricetta vincente: «È un mondo antichissimo e giovane allo stesso tempo: ci sono valori capaci di attrarre le nuove generazioni, che sono più sensibili al tema della sostenibilità e quindi vogliono sentirsi vicini alla natura. E poi è un settore che permette di confrontarsi con tantissime persone e di viaggiare».

Organizzare l’accoglienza Per sviluppare risorse umane e competenze è necessario anche aprirsi e puntare a «governare i flussi migratori e organizzare l’accoglienza», uno dei fattori vincenti per affrontare il cambiamento, come chiarito dal rapporto della Fondazione, visto che saranno molti i giovani che arriveranno, ad esempio, dall’Africa subsahariana. La sfida quindi è «sviluppare competenze da far crescere come alberi», ha detto Gianluca Toschi ricercatore della Fondazione Nord Est, «e più ce ne sono in un territorio più è facile per le aziende, come le scimmie, passare da uno all’altro e gestire così il cambiamento». Il domani non è già segnato: dipende da quello che facciamo oggi. E anche dalla formazione che si offre: su questa si deve puntare per aumentare la capacità di crescita che il Nord Est (nell’ultima versione comprende anche l’Emilia Romagna), ha dimostrato negli ultimi vent’anni: +9,1% contro una media italiana del 2,6%. Ma il confronto va fatto con nel contesto europeo con alcune regioni tedesche, francesi, spagnole che crescono di più. Per questo è indispensabile puntare sulla formazione.

Laura Zanoni Francesca Lorandi

Suggerimenti