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Ucraina, racconto dal confine

In viaggio con i profughi verso il Vicentino. Le scritte sulle auto: «Ci sono bambini, lasciateci passare»

Bambini. La scritta in cirillico campeggia sui vetri della potente jeep dalla targa ucraina, proveniente dall’oblast’ di Dnipropetrovsk, a circa 750 chilometri dalla frontiera tra Moldavia e Romania dove la incontriamo. Un messaggio chiaro a chi sta sparando: “Lasciateci passare senza infierire”. La carrozzeria e i vetri di quell’auto di lusso sono sporchi tanto che dentro si possono solo intuire la sagoma di una mamma con un bambino seduto sul seggiolino. Quando ci muoveremo da Lipcani, l’auto non sarà ancora ripartita. Con noi, in attesa che venga fatto ordine tra i documenti dei dieci passeggeri provenienti dall’Ucraina (Sergio a parte), ci sono anche automobili che arrivano da Cherniv e dalla capitale, Kiev.

Il primo confine Serheij Mohrun è ormai abbastanza stanco da salutare in italiano un anziano moldavo. Claudio Bernar, sempre con Gian Illesi a dargli il cambio alla guida, cerca disperatamente di stare nella scia di Sergio (tutti conoscono così Serheij). Hanno riabbracciato i loro cari e trattenersi alla frontiera tra Moldavia e Ucraina non serve se non a perdere minuti preziosi. Il tempo di sistemare i bagagli e si riparte in direzione Lipcani. Prima, Serheij fa una deviazione: vuole comprare una piccola riserva alimentare da una rosticceria che conosce. Dopo pochi minuti l’auto arriva placida alla fila per oltrepassare il confine tra Moldavia e Romania. Sono le 18.15 e praticamente non si muove più se non per pochi metri alla volta fino a poco prima dell’una di notte. Le sirene delle pattuglie di Politia e Trupele dei carabinieri illuminano a giorno i circa 5 chilometri di coda che chiudiamo e che dietro di noi continueranno a allungarsi.

La solidarietà Non ci sono solo le forze dell’ordine a illuminare la situazione, ma anche gruppi di ragazzi che passano al ritmo di una volta all’ora e propongono sempre qualcosa diverso per dare un po’ di sollievo a chi sta tentando di fuggire dalla patria in fiamme. Acqua, succhi di frutta, dolci e biscotti, un pasto caldo, una tazza di zuppa bollente e un caffè per cui i giovani operatori hanno ricevuto una piccola ovazione. Chiedono, osservano se ci siano bambini e quanti siano: se ci sono, impossibile rifiutare il sacchetto d’aiuto. La frontiera romena lavora senza sosta e con discrete attenzione e solerzia. Il poliziotto con il colbacco in pelo d’ordinanza chiede conto in un ottimo italiano dei documenti, delle eventuali discrepanze che non gli consentono di fotografare immediatamente la situazione ma fa capire che, in effetti, non ci sarà problema a passare. Le automobili vengono registrate in una lista su un foglio. Le torce in dotazione agli agenti fanno segno di passare. Pochi metri lungo il viale fuori dalla frontiera e un giovane con una pettorina azzurra e gialla ci invita a accostare: ci chiede se vogliamo da mangiare, da bere, se desideriamo un caffè o abbiamo bisogno un posto in cui dormire per la notte. Toglie anche il dubbio sulla sponsorizzazione Lyca Mobile della tenda degli aiuti: ci chiede se abbiamo bisogno di una nuova Sim card per lo smartphone. Le compagnie.

Verso l’Ungheria Una nuova lunga notte di viaggio ripercorre la strada al contrario. Si parte in salita con le montagne romene, strade tortuose in cui si raggiungono i meno 10 gradi. L’alba arriva sui monti Rodna. Arriviamo alla frontiera di Csengersima-Petea tra Romania e Ungheria. Ci sono file immense. Le auto, disposte su cinque colonne, hanno tutte quasi solo la targa ucraina, con la sigla Ua e la bandierina azzurro gialla. Ci sono soprattutto donne con bambini, spesso accompagnate dal padre o dal suocero. Anche in questo caso, la differenza la fa la solidarietà dei volontari, nonostante molti di coloro che fuggano sembrino equipaggiati a dovere. La tenda della Croce rossa non smette un attimo di servire pasti, zuppe, brodi e caffè. Oltre a questo, i volontari passano macchina per macchina chiedendo se si desiderano sandwich e acqua distribuite in sacchettini di nylon. In molti però rifiutano, lasciano il cibo ha chi ha davvero bisogno d’aiuto. Quando ci sarà dato modo di passare, dopo oltre quattro ore, resta un mistero.

 

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Karl Zilliken

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