<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
INTERVISTA IL TITOLARE DI LEGOR GROUP

Massimo Poliero «Il cambio ai vertici va preparato. Ma bisogna credere nei giovani»

Massimo Poliero titolare di Legor Group
Massimo Poliero titolare di Legor Group
Massimo Poliero titolare di Legor Group
Massimo Poliero titolare di Legor Group

Il passaggio generazionale? Un percorso per il quale non esiste una formula magica, ma da sviluppare passo passo. Parola di Massimo Poliero, titolare di Legor Group, che proprio di questo tema parlerà sabato alle 10 a Palazzo Bonin Longare, nell’ambito del festival.

Poliero, lei è la seconda generazione, com’è avvenuto il vostro passaggio?

In Legor è stato quasi naturale, ma in realtà la nostra è una seconda generazione un po’ “fasulla” perché ho preso le redini dell’azienda abbastanza giovane, quando era ancora molto piccola, poi la trasformazione è avvenuta negli anni successivi.

Com’è andata?

Eravamo un’azienda piccola e io arrivavo dopo aver fatto per cinque anni il responsabile di produzione in due aziende orafe e ricerca e sviluppo da Balestra. Avevo un percorso formativo ideale, anche se all’inizio non avevo intenzione d’entrare, poi le circostanze mi hanno portato a fare questa scelta. Ho preso in mano dagli aspetti tecnici a quelli produttivi, dal cominciare a fare il prodotto in maniera diversa al commercializzarli, al sistemare il marketing, andare in mercati nuovi. Man mano siamo cresciuti e di pari passo sono aumentati i ruoli e anche le persone con più competenze, fino a raggiungere l’attuale posizione di leadership di mercato. È stato mio padre, dopo poco che sono entrato a dirmi di dirigere l’azienda e supportare questa decisione, vedendo i risultati.

Come si fa un passaggio generazionale?

Va previsto e anticipato. Bisogna capire se ci sono le potenzialità e le competenze in casa per intraprendere questo percorso. Se ci sono, devi comprendere se sono le persone adatte, fare un assessment di tutta la mappa di competenze cognitive e leadership ed eventualmente proporre un percorso e impostarlo. E anche cominciare a fidarsi, dando delle mansioni per vedere se sono in grado di reggere il passaggio completo. Altrimenti bisogna scegliere una soluzione diversa, che può essere il manager, il passaggio a un fondo, un’acquisizione o una fusione.

Ha parlato di fidarsi…

Io dico sempre che nei ragazzi bisogna credere, vanno messi alla prova, bisogna dare loro gli strumenti perché possano dare il meglio e non il peggio, perché non possiamo pensare di fare dei passaggi generazionali non mettendoli in queste condizioni. Questo è l’investimento più importante che hai in azienda, perché con quella persona devi costruire il futuro.

Non sempre i figli però sono interessati a seguire le orme dei padri.

È fondamentale che ci sia piena libertà in questo. Se non c’è la volontà da parte del figlio, il percorso nemmeno comincia. Se c’è, deve avere le competenze e l’umiltà di mettersi su una strada che lo potrebbe portare lì. Poi non è detto che accada, ma è una strada che deve essere affrontata per capire se ci sono le qualità.

Non è semplicissimo dire a un figlio che guidare l’azienda non è il suo mestiere…

Bisogna essere chiari negli obiettivi fin dall’inizio, dicendo che è un percorso che può portare lì o da un’altra parte. Chiaramente poi bisogna gestire il post, perché dire a un figlio che non è adatto non è semplice. Oppure ci si fa seguire da consulenti non di famiglia.

Il passaggio generazionale è quindi più semplice in un’azienda strutturata?

Sì, un management già strutturato, soprattutto con pochi rappresentanti della famiglia, può aiutare il percorso. Ma va tenuto conto anche di un’altra cosa: se tra i miei manager ho una persona più brava e competente la situazione non è facile, perché in teoria l’imprenditore deve dare il comando a chi se lo merita al di là della famiglia e questo è un altro aspetto, per questo non esiste una formula magica.

Insomma, di famiglia o no, l’importante è scegliere la persona giusta.

Sì, deve essere qualcuno con cui l’azienda possa staccarsi dall’imprenditore e crescere di vita propria. Se la persona è sbagliata l’imprenditore si troverà in problemi anche più grandi, perché dovrà tornare indietro e non sarà in grado di gestire l’azienda in difficoltà, che nel frattempo sarà cambiata.

Maria Elena Bonacini