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L’intervista al politologo Ilvo Diamanti

«L’Italia oggi vive la democrazia del capo. Non esistono le idee»

Intervistato dalla giornalista Raffaella Polato, l’intervento del politologo Ilvo Diamanti, ieri mattina, ha chiuso il Festival città impresa.
Una conversazione in cui Diamanti ha cercato di spiegare e raccontare l’Italia di Draghi. Il presidente del consiglio che secondo il politologo «se non rappresenta un’anomalia, è comunque sicuramente l’espressione di qualcosa di particolare. Di un paradosso tutto italiano». Di un’Italia che ormai, per dirla come Diamanti oggi «vive la democrazia del capo». Quel capo che si chiama, appunto, Mario Draghi, «una figura espressa dai poteri finanziari ed economici europei in grado quindi di essere apprezzato all’esterno, ma anche all’interno. Perché nei momenti di paura, come quello vissuto con la pandemia le persone hanno bisogno di affidarsi alle certezze e allora ci si stringe attorno al capo». Che in questo caso ha il nome di Mario Draghi.
Ma Diamanti, ripercorrendo la storia recente del nostro Paese osserva come ormai da almeno dieci anni «siamo governati da attori pubblici che sono rappresentativi, ma che però non rappresentano i cittadini attraverso le procedure classiche», tradotto: con il voto.
Perché tra i presidenti del consiglio da Monti a Renzi, passando per Conte e finendo con Draghi, nessuno è stato eletto. «L’Italia vive un presidenzialismo preterintenzionale», osserva il politologo, docente all’Università “Carlo Bo” di Urbino.
«Oggi viviamo il governo di tutti - continua Diamanti - e ci sono grandi difficoltà da parte dei partiti, specialmente quelli che erano abituati a trovarsi all’opposizione e che adesso si trovano al governo». Insomma una sorta di ritorno al passato, almeno nel “sentiment” politico: «Nel passato c’era la Democrazia cristiana in cui al suo interno si poteva trovare di tutto: dalla destra alla sinistra sino al centro. E adesso, con l’attuale esecutivo, questo sentimento è riemerso».
L’analisi del passato è ancora una volta il punto di partenza per cercare di spiegare il presente «perché io precedo il presente non il futuro», sottolinea Diamanti. Che poi, andando a ritroso agli inizi degli anni ’90 ricorda come «l’Italia è sempre stata il Paese del bipartitismo imperfetto». Bipartitismo dato dalla divisione del mondo politico tra i valori della Democrazia cristiana da una parte e quelli del partito comunista dall’altro. «Imperfetto perché non ci poteva essere l’alternanza», sottolinea il politologo spiegando che quella divisione l’ha poi proseguita Berlusconi «con il muro di Arcore; la riedizione del muro di Berlino all’italiana: qui noi, di là i comunisti».
«Una volta c’erano i leader - rimarca Diamanti - che si chiamavano Andreotti, Rumor, Berlinguer. Ora invece ci sono i leader non eletti che esprimono grande consenso per la paura: del virus, della crisi economica. Abbiamo smarrito l’appartenenza. I partiti sono un participio passato. Ora ci affidiamo al capo. Adesso c’è la democrazia immediata: tutti possono dire la loro: online, ontime. Quindi viene da chiedersi che bisogno c’è delle urne se ci sono le piattaforme mediatiche? Ma io invece sono un nostalgico dei partiti. Sono un nostalgico di una democrazia fatta di soggetti che stanno nella società. Che esistono realmente. Invece non ci sono più idee e identità. Ecco, io ho nostalgia delle idee non mi accontento degli attori del “marketing elettorale”».