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Amatori

Il terzino va a teatro
«E il calcio diventa
il mio palcoscenico»

di Chiara Ferrante
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Christian Omobono sul palco durante uno spettacolo. FOTO FERRANTE
Christian Omobono sul palco durante uno spettacolo. FOTO FERRANTE
Pallone d'Oro, Christian Omobo

«Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro», diceva Pier Paolo Pasolini.Non per Christian Omobono, capitano della squadra Amatori F.C. Zermeghedo. Il difensore, classe '86, calca l'erba verde dello stadio come il palco di un teatro senza rinunciare alle sue passioni e al desiderio di fare gruppo. «Calcio e teatro: sono un giocatore atipico. Sono ambienti che si possono scontrare, ma mi piace. Unisco il mio lato artistico alla voglia di sport». Il sipario calcistico di Christian Omobono si apre a 12 anni, negli Esordienti. «Da piccolo, spinto da mio padre, avevo iniziato a giocare, ma non avevo tanta passione e così i miei genitori mi hanno lasciato libero - racconta il capitano -. Ho praticato tennis, ma sono tornato al calcio per la voglia di compagnia: tutti i miei amici ci giocavano».

Tesserato al tempo per La Contea, società di Montorso Vicentino, suo paese d'origine, fino ai Giovanissimi ha sempre fatto panchina. «Ho svolto qui anche gli inizi della categoria juniores, poi sono andato al Montebello. Grazie a mister Sperluti a 17 anni sono stato chiamato in prima squadra, che militava in Terza categoria, e mi sono distinto nel mio ruolo. Ero veloce. Magari non avevo piedi buoni, ma ero apprezzato per fisicità ed atleticità». Al cambio dell'allenatore, il terzino sinistro rivede la panchina e da qui la decisione di tornare tra le fila degli juniores. «Dopo poco, appena maggiorenne, mi sono fermato perché la passione è andata scemando. La panchina mi stava stretta». Qualche partitella a calcetto, un'esperienza nella pallavolo, ma con il calcio più nulla per ben tre anni. Fino al momento della sua rivincita tinta di rossoblù, i colori dello Zermeghedo, tutt'oggi in Primavera Aics. «Il mio sogno era quello di ricreare il gruppo con cui ho vinto il campionato Giovanissimi. Così ho chiesto al presidente della società sportiva di Zermeghedo di formare una squadra di grandi: c'erano solo i bambini e un campo era inutilizzato. La mia idea è stata accettata, con la condizione di aprire le porte ai ragazzi del paese. Siamo partiti. Poi la squadra si è sciolta, ma per fortuna è tornata in attività».

«Il calcio mi ha creato ricordi di famiglia. Siamo stati spesso anche oggetto di comicità perché tutti e tre abbiamo caratteri forti e di conseguenza non mancavano i battibecchi - continua scherzando -. Il calcio per me ha rappresentato la prima forma di socializzazione per esprimersi. Essendo uno sport di squadra capisci le interazioni, cosa significa sacrificarsi per gli altri, tenere duro ed arrivare insieme all'obiettivo, sostenersi. Se vissuto così, il calcio è una lezione di vita». Da buon capitano il gruppo va sempre al primo posto. «Ho la fascia da questa stagione e mi dà molta soddisfazione. La vedo come un riconoscimento al fatto di credere nel gruppo unito senza mollare mai». Un impegno che non può essere lasciato. «Tra lavoro e le prove di teatro i sacrifici sono tanti. Ho girato il Veneto e non solo con le varie compagnie e il musical. Ora con alcuni amici stiamo cercando di imbastire un nostro spettacolo. Ma non salto mai un allenamento: oltre che i piedi, nel calcio ci ho messo il cuore».