Alessandro Urbani: una vita in prima linea, in campo e nel lavoro. Il giocatore del Ponte dei Nori candidato per la seconda volta al Pallone di Bronzo, infatti, è un infermiere del 118 di Vicenza che ha scelto di aiutare le persone in tutto e per tutto, anche nell'emergenza coronavirus. «L'infermiere del 118 è la prima persona che il paziente vede nel momento del bisogno. La nostra è un'indole e bisogna essere portati. Non siamo eroi, ma professionisti e ci mettiamo il cuore».
Un ruolo, il suo, che si rispecchia anche nel terreno di gioco dove è schierato da centrocampista. Riprendendo le parole del campione del mondo Gabriele Oriali, infatti, coloro che stanno nel mezzo sono i «gregari del pallone, quelli che lavorano tanto e spesso nessuno si accorge di quanto sia prezioso il nostro sacrificio». E lo stesso vale anche nella vita di tutti i giorni del grigiorosso. «È triste che serva una pandemia per essere visti e considerati eroi. L'infermiere in questo paese è sottovalutato: siamo i più ricercati al mondo, ma abbiamo il reddito più basso in Europa. Per questo chi sceglie la nostra professione non lo fa per soldi. Lo fa per aiutare il prossimo e per me è un onore. Fin da piccolo, ho sognato questo lavoro. Ho studiato in triennale e ho seguito un master in area critica».
Ma per capire il legame indissolubile tra calcio e quotidianità nella vita di Urbani bisogna fare un passo indietro e ripercorrere le sue tappe. Classe '92, il giovane originario di Valdagno inizia fin da piccolo a calciare il pallone. «Usavo solo il sinistro, sono un mancino naturale - racconta -. A 5 anni sono entrato al Ponte dei Nori e sono rimasto fino al primo anno Giovanissimi». E qui arriva la chiamata dall'Arzignano. «Non è stato facile lasciare amici e squadra: eravamo una famiglia. Ma mi volevano per i regionali ed era il momento di fare un passo in più. Mi ha convinto mio padre. Lo spirito era diverso, si respirava competizione. Piazzato come trequartista, capitano e maglia numero 10, ho vissuto in gialloceleste anche gli anni juniores in Élite fino all'Eccellenza. Ho giocato campionati importanti, sono cresciuto e diventato forte».
Il cammino prosegue in Promozione con i colori del Valdagno e poi in Terza categoria nell'Azzurra. «Avevo conosciuto mister Soliman, che è tuttora il mio allenatore, e mi ha chiamato nell'Azzurra. Tra vari infortuni, gli studi in infermieristica e il tirocinio, ho accettato, scendendo di categoria».
Dopo una parentesi in Seconda al San Quirico, Urbani è tornato a casa, al Ponte dei Nori. «Qui mi trovo benissimo. Il gruppo è affiatato e ho ritrovato mister Soliman che ha dato al team un ricambio importante a livello tecnico e caratteriale. Quando giochi per un tecnico che ha stima di te, diventa tutto più facile. Con lui si è creata una bella amicizia». Il suo obiettivo, quindi, è stato raggiunto. «Il calcio è sempre stato divertimento e unione: non ho mai cercato la carriera. Ho dato tutto per questo sport, l'emozione che regala un pallone è incredibile. E rappresenta uno sfogo, anche dopo un turno di 12 ore. Il calcio è come una pacca sulla spalla, quella forza in più, e sono un capitano fortunato: ho il sostegno dei compagni. In questo periodo Covid, è stato difficile fisicamente e psicologicamente, la famiglia mi è mancata. Ma vivendo con la mia fidanzata, anche lei infermiera, ci siamo aiutati a vicenda. Nel futuro spero di stare bene, fare una famiglia e rimanere a lungo in questo fantastico gruppo».