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L'OMICIDIO DI VIA TODESCHINI.

Uccise suo genero: 15 anni di galera

Il delitto motivato dal fatto che la vittima islamica voleva che il figlio assistesse al rito dell'agnello sgozzato. Il pm voleva 16 anni
Via Todeschini, 15 ottobre '13: lo yemenita ucciso in strada dal genero, arrestato poco lontano. COLORFOTO
Via Todeschini, 15 ottobre '13: lo yemenita ucciso in strada dal genero, arrestato poco lontano. COLORFOTO
Via Todeschini, 15 ottobre '13: lo yemenita ucciso in strada dal genero, arrestato poco lontano. COLORFOTO
Via Todeschini, 15 ottobre '13: lo yemenita ucciso in strada dal genero, arrestato poco lontano. COLORFOTO

Quindici anni di reclusione, contro i sedici chiesti dalla procura. Quello di via Todeschini per il giudice Stefano Furlani non fu un omicidio premeditato, ma probabilmente, come argomentato dalla difesa, dovuto all'impeto. E pertanto, al termine del processo con rito abbreviato - che garantisce lo sconto di un terzo della pena -, è questa la condanna inflitta a Salvatore Cipolletta, 54 anni fra qualche giorno, l'ex sindacalista residente in città in via Curtatone arrestato il 15 ottobre scorso dopo l'omicidio del genero Haidar Rohay Ahmed Al-Tawil, 28 anni, di origini yemenite. Il delitto avvenne dopo una lite, scoppiata perchè la vittima voleva far assistere suo figlio di 2 anni al rito islamico del sacrificio dell'agnello nonostante il parere contrario dell'assassino, nonno del bimbetto. Il quale dovrà anche risarcire con 65 mila euro Basma Abidi e Ghofrane Taouil, mamma e sorella della vittima.
L'OMICIDIO. Il dramma era avvenuto la sera di metà ottobre in via Todeschini. Quel giorno Cipolletta era andato a pranzo a casa della figlia Cristina e di Al-Tawil per la festa islamica dell'Aid Al Adh. Il suocero aveva visto il genero con alcuni amici sgozzare un agnello alla presenza del nipote, e lo aveva portato via. Per questo era stato ripreso da Al-Tawil; era nata una discussione e Cipoletta si era allontanato. I due si erano mandati vari sms; l'assassino aveva bevuto e quindi era tornato in via Todeschini per un chiarimento. Ma Al-Tawil prima lo aveva apostrofato con parole pesanti e poi lo aveva colpito con un pugno. Cipolletta, che si era portato una pistola, aveva esploso un colpo uccidendo il genero. Poi era scappato, aveva raggiunto un bar, aveva bevuto una birra e fatto chiamare il 112, costituendosi.
IL PROCESSO. Il pm Monica Mazza (che nei prossimi giorni lascerà Vicenza) aveva chiesto 16 anni con omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e per il porto della pistola Derringer calibro 22, clandestina. La parte civile, con l'avv. Rachele Nicolin (che si era costituita solo per la madre e la sorella di Al-Tawil, mentre la moglie Cristina per i figli aveva deciso di restare fuori dal processo), aveva sollecitato anche di verificare l'aggravante dei futili motivi. Il giudice, dopo un'ora di camera di consiglio, ha invece ritenuto le aggravanti equivalenti alle attenuanti. Per il gup non c'è stata premeditazione; sarà necessario leggere le motivazioni. Di certo la pena sarebbe stata sensibilmente più elevata.
LA DIFESA. L'avv. Elena Peron aveva sottolineato come Cipolletta cercasse un chiarimento, quel pomeriggio, e che la pistola l'avesse portata con sè per essere per far paura al genero, che gli aveva mancato di rispetto. Non solo. L'assassino aveva confessato fin da subito il delitto, collaborando con gli inquirenti ai quali si era consegnato subito dopo l'omicidio. In carcere ha compreso il suo errore tanto che ha ripetutamente chiesto scusa. Lo ha fatto anche ieri mattina, in tribunale, sia alla moglie Raffaella che alla figlia Cristina. Dopo l'arringa del suo difensore Salvatore è scoppiato in lacrime, come aveva fatto due settimane fa, nel corso della prima udienza. Dopo la sentenza è rimasto in silenzio, con gli occhi lucidi. Ha salutato Cristina e quindi si è lasciato accompagnare in carcere. Ora spera nei domiciliari. «L'ho ammazzato, vi chiedo perdono».
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Diego Neri

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