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L'intervista

Imerio Massignan: «Dalla salita di Valmarana a miglior scalatore di Tour e Giro. La mia vita a due ruote»

Il ciclista vicentino, originario di Valmarana, oggi vive a Silvano d'Orba in provincia di Alessandria. Il 2 gennaio, anniversario della morte di Coppi, ha compiuto 87 anni.
A sinistra Imerio Massignan, originario di Valmarana, 87 anni; a destra le lacrime dopo il Gavia nel Giro d'Italia del 1960
A sinistra Imerio Massignan, originario di Valmarana, 87 anni; a destra le lacrime dopo il Gavia nel Giro d'Italia del 1960
A sinistra Imerio Massignan, originario di Valmarana, 87 anni; a destra le lacrime dopo il Gavia nel Giro d'Italia del 1960
A sinistra Imerio Massignan, originario di Valmarana, 87 anni; a destra le lacrime dopo il Gavia nel Giro d'Italia del 1960

Ha vinto la classifica del miglior scalatore al suo primo Tour davanti a Charly Gaul, vincitore di due Giri e di un Tour. Di lui Nino Defilippis disse che se fosse nato tre anni dopo, senza Gaul e Bahamontes, avrebbe potuto dominare la scena sia al Giro che al Tour. Ma se è riuscito a batterli significa che era un grandissimo arrampicatore che merita di entrare nella storia del grande ciclismo. Imerio Massignan di Valmarana vive a Silvano d'Orba, provincia di Alessandria. Il 2 gennaio, anniversario della morte di Coppi, ha compiuto 87 anni.

Come sta Imerio?
Ho qualche acciacco alle gambe, anche perché quando ho chiuso col ciclismo mi sono messo a fare il pavimentista. Non vado più in giro. Non ho più la patente. È mio figlio Raffaello che mi accompagna.

Come ricorda il periodo vicentino prima di diventare un corridore professionista?
Ero il più vecchio di cinque fratelli. Lavoravo come apprendista alla Fergia di porta Castello e ogni giorno facevo in bicicletta il tragitto da Altavilla a porta Castello. Ritornavo a casa per il pranzo e ripartivo. Ripetevo due volte al giorno la salita di Valmarana.

Come si trovò a passare da apprendista alla Fiat a corridore della Legnano?
Avevo vinto tre gare importanti sul Bondone, sul Pasubio e nella Bologna-Raticosa. Era stato Campagnolo che mi aveva fatto passare professionista. Poco prima del Giro del '59 aveva parlato di me a Pavesi e all'improvviso mi sono trovato a pedalare con Anquetil, Gaul, Val Looy, corridori che avevano vinto Giri e Tour: e sono arrivato quinto al mio primo Giro d'Italia, dietro a loro.

Da far sognare i tifosi vicentini...
La Aosta-Courmayeur al mio primo Giro, una tappa di quasi 300 chilometri, è uno dei più bei ricordi dei miei 11 Giri d'Italia. Gaul voleva battere la maglia rosa Anquetil e sul Piccolo San Bernardo sono stato l'unico a resistergli, ci volle una foratura perché mi battesse.

Al ritorno a Valmarana le fecero festa.
Mi vennero a prendere con la Topolino e c'era la banda.

Primo sul Gavia, Vars, Portillon, Izoard, Peyresourde, Col des Ares, Tenda, Col de Brouis, Col de Braus, Passo del Pennes: chi c'è oggi ad avere un simile palmarès?
Nessuno. Ma sono altri tempi. I quattro più forti di adesso vanno forte dappertutto. Io ho vinto il gran premio della montagna nel Tour del '60 e del '61 e sono arrivato secondo in quello del '62 dietro a Bahamontes. Tra gli italiani, solo Bartali, Coppi e Nencini, tutti vincitori del Tour, avevano vinto quella classifica. Allora non c'era la maglia a pois come oggi. Ma c'era la premiazione finale del miglior scalatore al Parco dei Principi e siccome si correva per squadre nazionali suonavano l'inno italiano e mi veniva la pelle d'oca ad essere premiato.

Dalla foratura di Courmayeur a quelle del Gavia fino alle interruzioni delle tappe di montagna per la neve: le hanno fatto perdere due giri d'Italia. Si vede che era destino: Massignan non doveva vincere.
Sono capitato male alla Legnano e dovevo arrangiarmi da solo. I miei compagni di squadra li vedevo la mattina alla partenza e li rivedevo la sera. Al Tour del '62, ritornato alle squadre di marca, sono arrivato settimo da solo. Se c'era da andare a prendere uno in fuga dovevo sempre arrangiarmi. Avessi avuto una squadra diversa avrei vinto almeno un Giro. Gregari buoni non ce n'erano. Mi sono accontentato ma avrei dovuto andarmene.

La pagavano bene almeno?
Al primo Giro del '59, quando sono arrivato subito dietro a Gaul, Anquetil e Van Looy prendevo 50mila lire al mese. Dopo il quarto posto al Giro del '60 mi hanno fatto un bel contratto di cinque anni. Al Tour invece si metteva tutto nel mucchio e si divideva.

Pavesi, il direttore della Legnano, com'era?
Non capiva niente. Dormiva in macchina con la pipa in bocca. Se ero in fuga neanche lo sapeva.

Quale resta il più bel ricordo della carriera?
La tappa pirenaica di Superbagnères l'11 luglio 1961 nella nazionale di Binda. C'erano cinque passi e sono passato primo in tutti davanti a Gaul, arrivando quarto nella classifica finale. Dopo Coppi nel Tour del '52 nessun italiano aveva mai vinto una tappa di montagna al Tour. E il giorno dopo ero ancora primo sul Peyresourde e sull'Aspin. Per la seconda volta sono stato premiato al Parco dei Principi come miglior scalatore del Tour. Nei quattro Tour ne ho fatte davvero di belle tappe e al Tour del '62 ho mancato per poco la tripletta di miglior scalatore.

E poi il Gavia.
L'8 giugno 1960 per la prima volta il Giro scalava il Gavia. Ero andato in fuga sul Tonale assieme a Van Looy. Poi col mio passo ho fatto da solo i 17 km della salita fino alla vetta a 2.645 metri. Davanti a Gaul, Anquetil maglia rosa a 5 minuti. In testa in discesa per un buon tratto verso Bormio, ho forato tre volte e nonostante la sfortuna Gaul mi ha battuto di appena 14 secondi.

All'arrivo un pianto disperato.
Quella del Gavia è stata la tappa più bella e la più triste allo stesso tempo. Ero stato sempre davanti a tutti fino in cima. Nella discesa sono stato lasciato solo dalla Legnano. E, come a Courmayeur, a un passo dalla vittoria, c'è stato Gaul. All'arrivo ho pianto ma ero diventato l'eroe del Gavia. Oggi al passo vendono ancora la cartolina col "Passaggio di Massignan" tra montagne di neve.

Quando ancora ha sfiorato la vittoria?
A Briançon, al Tour del '60, il mio primo Tour lo stesso anno del Gavia al Giro d'Italia. Era la tappa più attesa. A Briançon avevano vinto Coppi, Bartali, Nencini. Sul finale ero davanti a Battistini quando mi si affianca Pavesi in macchina e mi dice che deve vincere lui. Meglio piazzato in classifica, ha bisogno dell'abbuono e io ero già stato primo sul Vars e sull'Izoard. Così sul rettilineo mi sono lasciato superare. Non sono nemmeno riuscito a piangere tanto era forte lo scoramento.

Una stagione straordinaria quella del 1960.
Sì perché dopo essere arrivato quarto al Giro a quattro minuti da Anquetil e dopo aver vinto la classifica degli scalatori al Tour, sono arrivato quarto al campionato del mondo, primo degli italiani davanti a Poulidor, Gaul e Anquetil.

E il destino avverso con il volto del maltempo?
La bufera di neve sul Rolle nel '62 aveva fermato la tappa lassù dimezzandola e mi ha fatto perdere un Giro che meritavo di vincere. Sono stato secondo. Sul San Pellegrino avrei potuto indossare la maglia rosa, è stata una beffa perché avevo la forza per vincere il Giro.

Che bilancio fa della sua carriera ciclistica?
Avessi avuto un'altra squadra non parlerei solo di Superbagnères. Sentivo l'affetto che circondava il mio nome come forse per nessun altro di quei tempi. Le mie storie rendevano memorabili tante sconfitte. Con Gaul e Bahamontes sono stato uno dei grandi del ciclismo in montagna. Quando la corsa saliva erano le nostre tre maglie della Emi, della Faema e della Legnano che bisognava seguire. Ma sono contento della mia carriera. Ho vinto poco, ma i vicentini non hanno mai avuto un corridore come me. Ero lo scalatore che faceva diventar matta la gente.

Pio Serafin

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