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Confindustria Vicenza

La stangata post-Covid mina le imprese beriche

Laura Dalla Vecchia, Andrea Beretta Zanoni, Alberto Nardi (Colorfoto)
Laura Dalla Vecchia, Andrea Beretta Zanoni, Alberto Nardi (Colorfoto)
Laura Dalla Vecchia, Andrea Beretta Zanoni, Alberto Nardi (Colorfoto)
Laura Dalla Vecchia, Andrea Beretta Zanoni, Alberto Nardi (Colorfoto)

I dati dell’economia industriale registrati dalla 153a indagine trimestrale di Confindustria Vicenza sono buoni, non c’è dubbio. Ma la presidente Laura Dalla Vecchia accende i riflettori su una realtà produttiva di oggi, figlia della pandemia e del blocco produzioni, che rischia di causare i danni di un “long Covid” anche alle imprese. La ripresa post-pandemia è stata impetuosa, certo: una valanga di ordini per le aziende. Ma questa ripartenza «quasi violenta» ha riguardato il sistema casa e benessere (edilizia, elettrodomestici, arredo, bici). A soffrire, altri settori colpiti dal cambio di abitudini: abbigliamento, turismo. E poi col post-Covid è partita anche l’onda della “transizione energetica” e della sostenibilità.

Il rischio di disastri La transizione energetica, rimarca la presidente, è un obiettivo da cogliere assolutamente. Ma quello che si sta creando è un terribile corto circuito: «Non ci sono soluzioni pronte all’uso per una transizione energetica al 100% in pochi mesi. Quindi la spinta pazzesca verso questa transizione ha spesso portato a risposte come aumenti di tassazione, gabelle, accise sui carburanti e altro. E adesso viviamo l’effetto diretto di questi interventi: l’aumento del costo dei carburanti e dell’energia ha portato a un ulteriore aumento delle materie prime, che sono venute a mancare». E l’aumento dei costi dell’energia, denuncia la presidente Dalla Vecchia, ha un altro effetto «ancora più drammatico: la crescita dei casi di aziende che preferiscono ridurre la produzione piuttosto che pagare costi energetici così elevati». I casi concreti ci sono e la presidente li cita: il settore grafici-cartai e quello dei chimici sono molto energivori e vanno in difficoltà. «Possono sembrare casi distanti, ma i grafici nella nostra provincia stampano tutte le confezioni dei medicinali, e allora la gente si accorge che qualcosa non va perché inizia a non ricevere più i medicinali che chiede». Il settore chimico (ad esempio Basf) già annuncia riduzione del 40% di produzione, «ma se produce meno ammoniaca calano i fertilizzanti: questo frena la produzione agricola, e quindi il consumatore si trova con un aumento dei prezzi degli alimenti». Il messaggio è chiaro «ma deve essere ancora compreso dall’opinione pubblica e forse anche da qualche politico»: se a livello governativo pensi di spingere verso la transizione energetica imponendo costi aggiuntivi, ottieni l’effetto opposto. Perché se in nome dell’ “elettrico totale” con la carbon tax freni la produzione di auto dell’Europa - «che è il continente che oggi produce meno emissioni degli altri», sottolinea Dalla Vecchia - finisce che favorirai gli acquisti di vetture di marca asiatica, prodotte in Paesi dove la transizione energetica è ben più distante. L’effetto finale è che avrai favorito l’inquinamento e devastato la nostra industria, con la perdita di molti posti di lavoro.

Cosa fare C’è un’altra via? La presidente non ha dubbi: il sistema politico pubblico invece di “bastonare” deve concentrare gli sforzi finanziari sulla questione “energia”: «La transizione energetica si fa investendo in ricerca e sviluppo, e va sostenuta con incentivi a livello di imprese e anche di università. Perché è negli atenei che c’è la ricerca e sviluppo ad alto livello che ci serve, ma i ricercatori devono essere pagati in maniera adeguata».

Piero Erle

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