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Un Moliere scoppiettante con Stivalaccio

Stivalaccio Teatro durante la prima in Olimpico de “Il Malato”
Stivalaccio Teatro durante la prima in Olimpico de “Il Malato”
Stivalaccio Teatro durante la prima in Olimpico de “Il Malato”
Stivalaccio Teatro durante la prima in Olimpico de “Il Malato”

Antonio Stefani

VICENZA

Scrive Giovanni Macchia che il 17 febbraio 1673, sul palco del Palais Royal, ci fu “un irruente ingresso del teatro nella vita”. Perché Molière, alla ribalta nei panni dell’Argante “malato immaginario”, verso la fine fu colto per davvero da quell’accesso di tosse sanguinolenta che poche ore dopo, trasportato a casa, l’avrebbe condotto alla morte, sconfitto dalla tisi. Non aveva voluto rinunciare alla recita, quel giorno, per non far mancare la paga ai suoi attori. Secondo alcuni biografi – compreso Bulgakov, il più bravo di tutti – negli ultimi istanti di vita rifiutò un brodo, chiese invece del parmigiano, e in tutta Parigi non si trovò un dottore che accorresse al suo capezzale. A tanto sarebbe giunto, dunque, l’astio della classe medica (medicastri, in genere) contro l’artista che sempre più spesso l’aveva messa alla berlina, beffandosi di essa e del proprio destino.

Nell’allestimento di Stivalaccio Teatro giunto al debutto l’altra sera in Olimpico per il 70° Ciclo di Classici, il soggetto di Marco Zoppello immagina che quella replica de “Il malato immaginario”, a rischio sospensione per la salute di Molière e per l’abbandono dell’intera sua compagnia, venisse salvata da una truppa di Comici dell’Arte italiani (dai quali, si sa, egli aveva imparato parecchio) pronti a sostituirsi e a sdoppiarsi nei ruoli accanto al Maestro, facendogli credere che in sala fosse giunto ad ascoltarlo il Re Sole in persona.

È un’idea, questa, che consente alla rappresentazione, navigando davanti e dietro le quinte, di tramutarsi in un puro omaggio all’eterno gioco della scena, alle sue spassose guittate, alla capacità di sorprendere, grazie ai mille trucchi d’un mestiere girovago cui ogni volta riesce il miracolo di sollecitare, in chi assiste, sentimenti e attese.

Ovviamente, in più punti, qui sarà la vita a irrompere nel teatro, come nel caso dell’arrivo della vera figlia di Molière, Madeleine, o nell’ inevitabile tinta drammatica calante sull’epilogo; ma si sa poi qual è la legge dello spettacolo: avanti sempre.

Ricco di ritmo, di improvvisi e d’una comunicativa che si travasa sugli spettatori, il racconto viaggia a meraviglia grazie agli estri aguzzi di Sara Allevi, Anna De Franceschi, Michele Mori, Stefano Rota e Marco Zoppello, cui va pure ascritta una regia che l’Olimpico accoglie volentieri. Così come il pubblico.

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