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Il personaggio

Lidia Ravera e i suoi 35 libri: dal successo di «Porci con le ali» del 1976 ad oggi. L'intervista

Scrittrice, giornalista ma anche politico (fu assessore alla Cultura in Lazio con Zingaretti). Il suo ultimo romanzo è «Un giorno tutto questo sarà tuo»
Stasera ospite di OltreConfine Festival a Borno: Lidia Ravera presenta in Valcamonica «Un giorno tutto questo sarà tuo»
Stasera ospite di OltreConfine Festival a Borno: Lidia Ravera presenta in Valcamonica «Un giorno tutto questo sarà tuo»
Stasera ospite di OltreConfine Festival a Borno: Lidia Ravera presenta in Valcamonica «Un giorno tutto questo sarà tuo»
Stasera ospite di OltreConfine Festival a Borno: Lidia Ravera presenta in Valcamonica «Un giorno tutto questo sarà tuo»

Scrive da sempre: è il suo karma, una vocazione. Spazia senza tradire: i suoi lettori, mai delusi, la seguono ovunque. L'ultimo romanzo di Lidia Ravera è «Un giorno tutto questo sarà tuo» (Bompiani), è la storia di Seymour, geniale quindicenne anti-social: «Un adolescente disadattato, disturbato, che preferisce collezionare parole anziché andare in giro a fare il bullo, a ballare e calarsi le pasticche».

Un diverso, nel mondo al rovescio che ci ritroviamo oggi?
Sì: è diverso perché ha questo desiderio alto di scrivere un capolavoro.

Vuole superare da scrittore a scrittore Giovanni Sartoris, l’ingombrante padre 70enne.
Suo padre però vola basso, insegue solo il successo. Seymour ritiene il successo inessenziale, vuole raccontare quello che vede. Prende continuamente appunti, esercita costantemente l’attenzione: la caratteristica dello scrittore, del poeta.

Fra i personaggi di queste pagine emerge Anna, la prima moglie di Giovanni: quanto c’è di suo in questa donna capace di tanta empatia?
Io ho messo molto di me in tutti i personaggi. In Anna come nello scrittore di successo «vanitoso e fasullo», come lo definisce suo figlio. Anch’io quando vado in tv mi pongo il problema di dire qualcosa di intelligente esattamente come lui. Anna è una donna che ha vissuto, l’unica in grado di capire il quindicenne Seymour che è non solo il protagonista, ma anche l’io narrante. Lui se ne accorge e la predilige. Io ho sempre avuto un ottimo rapporto con gli adolescenti; l’avevo già quando lo erano i miei figli, mezzo secolo fa.

Seymour, dopo la disgrazia che capita a suo padre, riesce ad avvicinare la ragazzina Matilde. In precedenza è molto solo, isolato.
La solitudine gli piace anche, ma lo fa soffrire. È un po’ il guaio di quelli che sono un passo avanti rispetto ai coetanei. L’ho visto con mio figlio, che in quinta elementare fece una tesina su Jean-Luc Godard. «Mamma, ma i miei compagni di scuola non hanno mai visto un film di Godard»... Eh! Era un ragazzino superdotato, diverso dagli altri. Anche lui scriveva dalla mattina alla sera. Poi per fortuna il suo grande amore per la Roma gli ha consentito di stringere amicizie con i coetanei. Benedirò per sempre la squadra della Roma: la passione calcistica gli ha impedito di diventare un passero solitario. Ancora oggi comunque mi piace incontrare adolescenti un po’ speciali. Il buongiorno si vede dal mattino. Anch’io ho cominciato a scrivere da piccola. Poi scrivi tutta la vita. E vivere scrivendo è meglio che vivere e basta.

La scuola è il posto giusto per la crescita di talenti fuori dal comune?
No, la scuola è una livellatrice terribile ed è un delitto, perché un bambino che usa parole difficili in età precoce andrebbe applaudito. Ricordo di essere stata in giuria in un concorso di poesia per bambini di elementari e medie: quelli delle elementari scrivevano cose deliziose, quelli delle medie si appiattivano sui luoghi comuni, i peggiori erano quelli di terza.

Come si possono cambiare le cose?
Magari facendo corsi di scrittura creativa in orario scolastico, per scoprire e incoraggiare i ragazzi più sensibili e attenti alla parola e dar loro uno spazio per sperimentare e diventare sempre più bravi, imparando a narrare. Sarebbe utilissimo. Ma forse il ministro dell’Istruzione, come si chiama?, la pensa diversamente. Io dico che mettere il 5 in condotta è meno urgente. Questa vocazione punitiva del governo viene fuori continuamente. Così verranno bocciati i ragazzi migliori, quelli che occupano le scuole per parlare del genocidio in Palestina. I giovani vanno ascoltati. Capiti. Senza demonizzare la loro musica, i loro party, le loro idee.

Trentacinquesimo libro, trentesimo romanzo. Partire col botto con «Porci con le ali», nel 1976, è stato un vantaggio o uno svantaggio?
È stato terribile. Veramente terribile. Quando mi guardo indietro mi vengono i brividi. Non mi ha aiutato, perché avrei scritto e sarei stata pubblicata comunque, è il mio karma, quello che so e voglio fare da quando avevo 7-8 anni. Quell’esordio non mi ha cambiato in meglio ed è stato un trauma perché a quell’epoca uscire dall’anonimato e avere successo nel mondo borghese, quello che noi volevamo cambiare, era demonizzato. Non a caso io e Marco Lombardo Radice non l’avevamo firmato il libro, poi visto il successo pazzesco i nomi son saltati fuori. Qualcuno ci accusò di aver scritto un bestseller a tavolino: ma se volevamo restare anonimi! Editato in mille copie, oggi ha superato quota 3 milioni: ci è scoppiato in mano. Ha determinato negativamente la mia carriera e ho scoperto che avere successo non ti fa amare. Il mio secondo romanzo, «Ammazzare il tempo», era composto e tranquillo: parlava del crescere, dell’invecchiare, e avevo 26 anni. Non ho mai cercato di rifare «Porci con le ali», ma «Porci con le ali» mi ha perseguitato per tutta la vita. Mi ha impedito di vincere premi importanti, né Strega né Campiello, per l’alone di zolfo che mi circondava. Mi hanno affibbiato un’etichetta, non sono stata presa sul serio nel mio percorso da autrice. Il coautore di «Porci con le ali» è sparito in Libano e poi è morto giovane: non ho nemmeno potuto condividere l’onda d’urto di quel libro che ho anche odiato. Ci ho fatto pace solo di recente perché se tante persone l’hanno amato fino ad oggi evidentemente aveva qualcosa di eccezionale.

«Tutto questo sarà tuo» racconta una storia dei nostri tempi.
E la racconta bene. È un romanzo onesto e ben costruito perché io sono una brava artigiana e ci tengo, non ho mai tradito i miei lettori che non mi hanno mai mollata. Mi diverto ancora molto a scrivere e se penso ai mancati riconoscimenti adesso, con le spalle larghe che ho, me ne faccio una ragione. A vent’anni, quando per metà delle persone ero un genio e per l’altra metà una poco di buono, ancora non le avevo. Non vorrei tornare al 1976 per niente al mondo.

Gli appuntamenti come questo di OltreConfine riscuotono sempre più consensi.
Valutando in base agli ultimi due libri pubblicati, noto che gli incontri che vanno avanti da più di un anno con regolarità sono tutti sold out, con persone che rimangono in piedi. Forse c’è un desiderio di approfondire la cultura in presenza, con il proprio corpo, anziché con la tecnologia senza muoversi da casa.

I libri vanno altrettanto bene?
Certi libri sì, ma il consumo della letteratura è ai minimi storici. Dopodiché i pochi che leggono vogliono ascoltarti, vederti, avere i libri firmati: cercano il contatto. Parliamo di una minoranza calorosa, quella dei lettori, che si comporta un po’ come una famiglia. Infatti quando faccio i firmacopie do del «tu» a tutti: «Come ti chiami?». Perché sono come miei parenti.

Gian Paolo Laffranchi

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