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Patrimonio Unesco

Apre lo scrigno palladiano di Santa Maria Nova

di Chiara Roverotto
Utilizzata come deposito dalla Bertoliana è stata liberata e sarà finalmente aperta ai vicentini il prossimo weekend
L'esterno di S. Maria Nova nell’omonima contra': si potrà vedere il prossimo weekend con il Fai
L'esterno di S. Maria Nova nell’omonima contra': si potrà vedere il prossimo weekend con il Fai
L'esterno di S. Maria Nova nell’omonima contra': si potrà vedere il prossimo weekend con il Fai
L'esterno di S. Maria Nova nell’omonima contra': si potrà vedere il prossimo weekend con il Fai

Patrimonio dell’Unesco dal 1994. Prima chiesa a contenere opere di artisti importanti: da Giulio Carpioni a Francesco Maffei, passando per i Maganza e Palma il Giovane, poi sconsacrata all’inizio dell’Ottocento e quindi utilizzata come caserma, magazzino e in questi ultimi anni- dal 2007 al 2023 - assurta al ruolo di deposito di una parte del materiale archivistico della Biblioteca Bertoliana. Di quale edificio stiamo parlando? Di Santa Maria Nova, una ex chiesa conventuale della fine del Cinquecento attribuita all'architetto Andrea Palladio, che l'avrebbe progettata intorno al 1578 senza riuscire a vederla realizzata. Di fatto rimane l'unica architettura di natura prettamente religiosa progettata da Palladio e costruita all’interno delle mura cittadine. Gli altri interventi palladiani in edifici sacri si limitano alla cappella Valmarana, un portale e la cupola della cattedrale e, forse, anche il portale della chiesa di Santa Maria dei Servi. 

Liberata dai documenti e finalmente visitabile

Sabato 6 e domenica 7 gennaio l’ex chiesa sarà riaperta grazie alla delegazione del Fai di Vicenza che ne spiegherà la storia. Visibile per la prima volta libera da tutti i documenti che conteneva si potrà ammirare la pianta rettangolare ad una sola navata con il pontile addossato alla facciata. Sulla parete lunga, quattro semicolonne corinzie dividono la superficie in cinque settori, dei quali il centrale è leggermente più largo degli altri. 

«Tra una semicolonna e l’altra - si legge nel testo preparato da Mario Bersani Rebaschi e Anna Dalla Vecchia per il Fai - c’è un’arcata sormontata da un riquadro ornato di stucchi. Il soffitto in legno è a lacunari lignei, del tipo consueto a Vicenza, della fine del Cinquecento dov'erano incastonate le tele di pittori vicentini di quell’epoca: i Maganza, Andrea Vicentino, Palma il Giovane, Maffei e Carpioni: opere disperse, ma non tutte perdute. Il soffitto poggia direttamente sui capitelli dei pilastri e copre quasi dappertutto l’architrave, salvo che negli angoli. Sulla parete dell’altare, due cartelle in stucco con l’iscrizione ripetuta due volte Omnipotenti Deo/ Et B. Maria Erexit/ Ludovicus Tridenteus/ M.D.X.C.I. Quattro grandi finestre centinate si aprono sulla parete sinistra e l’interno ripete, con fedeltà archeologica, la cella del tempio romano di Nimes in Francia illustrato dallo stesso Palladio. L’esecutore della chiesa è ragionevolmente riferibile ad uno dei più noti capomastri e impresari locali del momento: Domenico Groppino». 

Palladio o non Palladio?

Rimane aperta tutta la questione dell’attribuzione: Palladio o non Palladio? La vicenda ha coinvolto storici dell’arte di grande valore, alcuni dei quali hanno negato la paternità palladiana, tra loro Giovanni Mantese nel 1956 e Zorzi nel 1963, altri si sono detti più possibilisti e antri ancora: Puppi, Battilotti 1973, Forssman 1965, Barbieri e Cevese nel 1976 sono giunti alla conclusione che la matrice è palladiana, ma l’esecuzione - non seguita dall’architetto che muore nel 1580 - ha smorzato o addirittura sconvolto il tratto progettuale di Andrea Palladio. Ma almeno in questo fine settimana si potrà finalmente ammirare.

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