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IL PERSONAGGIO

Camerini,
la contessa
scultrice

Scelse la ritrattistica al modellato Ne fece un hobby con ottimi esiti
Una raccolta dei busti in gesso di Maria  Camerini Scola appartenenti ad una collezione privata
Una raccolta dei busti in gesso di Maria Camerini Scola appartenenti ad una collezione privata
Una raccolta dei busti in gesso di Maria  Camerini Scola appartenenti ad una collezione privata
Una raccolta dei busti in gesso di Maria Camerini Scola appartenenti ad una collezione privata

Nel verde della collina di Creazzo si staglia l'imponente e rossa architettura del Castello Scola Camerini. La torre e le merlature potrebbero ingannare e riportarne l'origine al Medioevo, mentre fu l'eclettismo ottocentesco ad attribuirgli quell'aspetto gradito al periodo romantico. In questa casa nobile e severa Maria Camerini figlia del conte, e senatore del Regno d'Italia, Giovanni e della contessa Luisa Raimondi del Podio giunse promessa sposa del barone Bartolomeo Scola nel 1892, anno del suo fastosissimo matrimonio celebrato il 17 febbraio. La contessina nacque a Rovigo, città natale del padre, il 20 giugno 1864 e ricevette un'educazione che la rese donna di fermi principi morali, di profonda religiosità ed altruismo.
Fin da giovane dimostrò interesse per l'arte appassionandosi dapprima alla pittura floreale e scegliendo poi la scultura, cominciando a modellare la creta che lei stessa raccoglieva sugli argini del Po, nella tenuta paterna nel Basso Polesine. Non frequentò scuole d'arte ma a Firenze, dove soggiornò durante la giovinezza, visitò spesso lo studio dello scultore Giovanni Duprè al quale Luigi Camerini aveva commissionato il monumento del duca Silvestro, prozio di Maria, realizzato nel tempietto della villa di Piazzola sul Brenta. Alla fine dell'Ottocento, la scultura non era un'arte femminile, fu quindi insolito che Maria vi si dedicasse con molta applicazione rispondendo a un talento innato che la portò a preferire il modellato piuttosto che il faticoso lavoro della scalpellatura del marmo. Tra i temi artistici scelse il più difficile: la ritrattistica, lavoro che esige lo studio della fisionomia, la riproduzione delle fattezze peculiari, l'individuazione dell'espressione, al fine di raggiungere la più precisa somiglianza. Maria lavorò per hobby trasformando la limonaia del castello di Creazzo nel suo atelier e prendendo per modelli i suoi famigliari, le sorelle e fratelli, i quattro figli e i nomi importanti che frequentavano il salotto di famiglia. I busti bronzei del padre Giovanni, del prelato don Domenico Marangoni, dello scrittore Antonio Fogazzaro, del duca Carlo Capace Galeota e del diplomatico conte Fabio Sanminiatelli Zabarella sono stati recentemente ammirati nella mostra “Cinque secoli di volti” negli interrati di Palazzo Chiericati, ma un centinaio di busti di gesso sono raccolti in una collezione privata. Ritratti di baffuti gentiluomini, ispirati ecclesiastici, imberbi giovinetti, gendarmi con cappello, donne devote, bambine con capelli intrecciati, sono ordinatamente riuniti in paziente silenzio. A questi volti la baronessa non conferì il realismo accademico che al tempo imperversava. «Ella era capace di esprimersi con personalità a volte vigorosa e con vivezza d'accenti … poiché il ritratto non era per lei un abile gioco formale volto a cogliere gli aspetti esteriori del soggetto, ma processo di acuta e intelligente penetrazione psicologica» scrisse il prof. Renato Cevese. L'unica commissione che ricevette fu un volto di Cristo richiesto da padre Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica di Milano per il quale si avvalse della fisionomia dell'amico di famiglia il medico condotto di Creazzo, Giuseppe Sacchiero.
Maria Scola Camerini coltivò la scultura per tutta la vita e trasse da questa pratica grande consolazione nelle tragedie che la colpirono, oltre alla morte del marito, quella del figlio Giuseppe ufficiale dell'Aeronautica Militare precipitato ad Aviano e quella della figlia Luisa morta di parto nel 1930. Generosa d'animo e di elargizioni, contribuì nel 1911 alla fondazione dell'asilo S. Antonio di Creazzo e donò alla parrocchiale di Sant'Ulderico una sua copia della pala tiepolesca dell ”Immacolata”. Si spense il 18 aprile 1937 lasciando incompiuto il ritratto del figlio Giuseppe. La sua abilità rimase circoscritta all'ambiente domestico e non raggiunse il riconoscimento che le spetterebbe: del resto solo la francese Camille Claudel, anche lei nata nel 1864, riuscì a rompere il silenzio di una storia dell'arte priva di donne scultrici.

Cinzia Albertoni

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