<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Dal 4 ottobre

"Black Tulips", il libro postumo di Vitaliano Trevisan

In libreria martedì 4 ottobre per Einaudi, il libro postumo dello scrittore vicentino pubblicato senza editing. "Black Tulips" è un progetto nato nel 2018 che ha portato Vitaliano a viaggiare in Nigeria.

Non c'è viaggio se non c'è rischio e spaesamento. E dello spaesamento Vitaliano Trevisan ha fatto una filosofia di vita rinunciando a qualsiasi bussola preconfezionata. Solo così si può liberare la mente e vedere le cose come sono veramente e non come si vorrebbe che fossero. Tutti i suoi libri altro non sono che straordinari viaggi all'interno del nostro territorio che il suo sguardo obliquo e acuminato ha saputo scandagliare come nessun altro. Ed ora ecco "Black Tulips" (Einaudi, 232 pagine), l'ultima sua attesissima opera, che esce nelle librerie il 4 ottobre. Un altro straordinario viaggio, che questa volta si spinge ben oltre la "periferia diffusa" vicentina e veneta per arrivare in Africa, più precisamente in Nigeria, quintessenza dell'africanità.

Un libro interrotto non incompiuto

Trevisan ha iniziato la stesura di "Black Tulips" con un progetto preciso nel 2018, anche se alcune parti erano state composte precedentemente, e ha inviato l'opera ad Einaudi qualche mese prima di morire, in un momento non facile della sua vita. Arrivati alla fine del libro, che viene pubblicato senza alcuna alterazione o editing nel rispetto dell'integrità originale, si trovano due capitoli "Benin City - frag. 3" e "A place to stay - frag. 2" di cui abbiamo solo il titolo e molto probabilmente altri avrebbero dovuto essere scritti.

Dobbiamo dunque considerarlo un testo non finito? Riprendendo le parole che lo stesso scrittore ha usato per l'amato "Billy Budd" di Melville, in un saggio uscito pochi mesi fa, non possiamo definirlo un testo incompiuto ma semplicemente interrotto in quanto «la qualità della sua scrittura è tale che esso non potrebbe mai essere finito». Si tratta insomma di un libro - non di un romanzo, "perché la realtà non è un romanzo" - che, potenzialmente, avrebbe potuto continuare all'infinito.

Qui come in "Works" troviamo una fitta rete di note, definite "scorci sul testo", che amplificano lo sguardo obliquo e abrasivo che permea tutto il libro: Trevisan si lascia guidare dalla scrittura, abbandonandosi ad essa, rifiutando costruzioni artificiose, prospettiche e di trama. Il libro si compone così «di frantumi e di frammenti, frantumi se ritrovati nel passato, frammenti (particolari) quando più vicini al presente».

Vedere con i propri occhi

La Nigeria entra molto presto nella vita dello scrittore, quando, ancora bambino, suo zio Lorenzo, di ritorno dall'Africa, gli porta in dono una statuetta raffigurante una donna africana con vestito, gioielli e acconciatura tribale. Con il tempo, complice anche la frequentazione con diverse donne nigeriane, diventa una vera ossessione. E quando chiede ad Ade, diminutivo di Adesuwa, di descrivergliela, lei risponde dicendogli: «You must c with your own eyes». Impossibile descriverla a parole. La devi vedere con i tuoi occhi. Vedere con i propri occhi, fare esperienza diretta della realtà, rischiare in prima persona, tutti principi che hanno sempre guidato Trevisan e che gli hanno permesso di andare al cuore delle cose e di non cadere in pericolose sacche d'irrealtà.

Così, prendendosi due mesi di ferie dal lavoro di portiere di notte, decide di andare in Nigeria per vedere con i suoi propri occhi e per provare ad avviare un traffico di parti di ricambio usate per auto ancora più usate. Se Rimbaud trafficava in armi, scrive, io venderò pezzi di ricambio. E non porta con sé, volutamente, né la macchina fotografica né l'inseparabile taccuino «perché volevo solo vedere con i miei occhi e sentire con le mie orecchie eccetera; cioè, in definitiva, non volevo registrare niente, all'infuori di me, di tutto ciò di cui sapevo che prima o poi avrei scritto».

Dai margini

Non sorprende che Trevisan abbia scelto come meta, e come fulcro del libro, la Nigeria. Un luogo di cui nessuno parla pur essendo tra i più grandi esportatori mondiali di petrolio e il primo importatore di generatori elettrici, fuori da qualsiasi rotta turistica, definito nelle guide una delle destinazioni più pericolose al mondo, un paradiso solo per pirati e avventurieri, ma non certo per turisti. Un luogo in cui lo choc percettivo legato alla perdita di riferimenti diventa assoluto anche per chi come lui ha scelto di vivere sul bordo vertiginoso delle cose, sospeso tra appartenenza ed estraneità. Un luogo in cui è necessario reimparare a sentire e vedere.

Appena sceso all'aeroporto "Murtala Muhammed", si rende subito conto che qui non potrà farsi invisibile e trasparente come a casa. Qui è un oyibo, un uomo bianco, e ovunque passi tutti lo notano. All'inizio viene preso da una strisciante inquietudine, il pericolo si respira nell'aria: ovunque edifici con recinzioni altissime, anche solo uscire con Ade dall'hotel di Ikeja in cui alloggia per andare a mangiare è un'azione rischiosa; poi, nel corso del viaggio a bordo di una Mercedes verde pisello verso Benin City, la paura si stempererà anche grazie all'incrinarsi degli inutili modelli culturali e mentali con i quali legge quel mondo. Ad accompagnarlo, oltre ad Ade, ci sono Amen, presunto cugino di Ade, e Fidelis, detto Mudia, il meccanico - sempre che lo sia - con cui il protagonista dovrebbe mettere in piedi il traffico di parti di ricambio.

Un viaggio dentro di sé

La Nigeria descritta da Trevisan, in modo sempre puntiglioso e dettagliatissimo, grazie ad un minuzioso lavoro di documentazione, è un luogo vivo, caotico, imprevedibile, destabilizzante, che non ha nulla di folkloristico, sentimentale ed esotico. "Black Tulips" non è un libro di colore e questo viene precisato già nelle prime righe: «via anche i colori, e sopra tutti via il colore. Al soggetto si addice il Bianco e Nero». Un libro in bianco e nero dunque, rigoroso, austero, senza sbavature da reportage a buon mercato.

Ma come tutti i libri di Trevisan, anche questo non è solo un viaggio fuori di sé, ma anche un viaggio interiore alla ricerca di sé stesso, dentro le sue ossessioni, i suoi demoni, le sue paure, i suoi sentimenti. Tenendo sempre presente che, per quanto i suoi scritti siano fortemente autobiografici, non bisogna mai sovrapporre totalmente l'autore e l'io narrante: non conta tanto la veridicità dei fatti, ma il significato profondo che essi assumono. Detto ciò, forse, mai come in quest'opera, lo scrittore ha messo a nudo la propria vulnerabilità e fragilità. Per quanto dissimulato, c'è un fortissimo bisogno di riconoscersi nell'altro, soprattutto in un'umanità alla deriva affamata di vita e di "redenzione". Come le puttane che l'io narrante cerca lungo le strade vicentine per lenire la disperata solitudine che lo possiede e con le quali spesso intesse relazioni che vanno ben al di là dell'accordo mercanteggiato.

Meravigliosamente delicati e teneri i ritratti - sempre dinamici, perché la scrittura è azione - di queste donne come la già citata Ade, principale guida del protagonista in Nigeria; o come Isegwe, che una notte si materializza accanto a lui su una panchina di Campo Marzo. Un incontro struggente tra due solitudini che si riconoscono ai margini, ipocriti e perbenisti, dell'asfittica morale borghese il cui centro commerciale notturno a cielo aperto, sorto impetuosamente a cavallo del millennio, rappresenta una carta d'identità assai rivelatrice.

Un bilancio provvisorio

Difficile dar conto in poche parole di un libro così stratificato e complesso come "Black Tulips" che polverizza qualsiasi idea di genere letterario e che unisce tutti gli ambiti praticati da Trevisan, in particolare narrazione, teatro, saggistica, cinema, ponendosi come un superlativo trattato antropologico, sociologico, economico, filosofico e politico. In quest'opera ad essere portato alle estreme conseguenze non è solo il processo di spaesamento e denudamento dell'autore ma anche quello di scrittura. Qui infatti viene realizzata in modo definitivamente compiuta la poetica del frammento enunciata in "Tristissimi giardini": «pensare per frammenti e pensare i frammenti, e sempre pensarli in movimento, a tempo. Nella frase precedente sovrapporre al verbo pensare il verbo scrivere».

I frammenti, grazie anche ad una scrittura limpida ed ariosa, in cui la chiave resta il ritmo (un ritmo franto e sincopato che trasmette anche per via sonora l'accidentato percorso umano e conoscitivo del protagonista), creano sfolgoranti costellazioni, capaci di scardinare la rigidità prospettica con cui siamo soliti guardare il mondo e di illuminare zone d'ombra della realtà che mai avevamo visto, o voluto vedere, davvero.

(Un ringraziamento a Francesca Causarano, compagna ed erede di Vitaliano Trevisan, per le numerose e preziose indicazioni che ci ha dato su "Black Tulips").

Fabio Giaretta

Suggerimenti