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Ammazza il genero per il rito islamico e poi si fa arrestare

IL DELITTO. Ieri alle 18.50 un giovane yemenita è stato ucciso davanti a casa in via Todeschini
Salvatore Cipolletta, 53 anni, è accusato di omicidio premeditato Non voleva che i nipoti assistessero all'uccisione di un agnello
Il corpo privo di vita di Haidar Rohay Ahmed Al-Tawil sul marciapiedi di via Todeschini
Il corpo privo di vita di Haidar Rohay Ahmed Al-Tawil sul marciapiedi di via Todeschini
Il corpo privo di vita di Haidar Rohay Ahmed Al-Tawil sul marciapiedi di via Todeschini
Il corpo privo di vita di Haidar Rohay Ahmed Al-Tawil sul marciapiedi di via Todeschini

Quando è arrivato e ha visto quell'agnello sul tavolo non c'ha più visto. Come potevano i suoi nipoti assistere ad una scena così cruenta? Come potevano dei bambini stare a guardare mentre il padre sgozzava un animale? È scoppiata la lite, sono volati gli insulti. Poi se n'è andato. Ma non era finita lì. Continuata a covare rabbia. E allora sono iniziate le telefonate e i messaggi con il genero, ancora insulti, ancora minacce. Dieci minuti prima delle 19 il capitolo finale. Ha atteso che uscisse. Quando lo ha visto è partito a folle velocità e per poco non lo ha investito. Il marito di sua figlia lo ha afferrato al collo e preso a pugni. Poi il ragazzo si è accasciato. È stato colpito al petto da un proiettile davanti allo sguardo atterrito della moglie. La fuga dell'omicida è durata poco. È corso via, si è sbarazzato di pistola e telefonino e poi è entrato in un bar. «Chiami i carabinieri, ho ucciso mio genero». E quando i militari sono arrivati lo hanno trovato accasciato su un tavolo. Sembrava ormai senza forze. «Sì, sono stato io. Ho sparato io. Arrestatemi». L'ARRESTO. Ora Salvatore Cipolletta, 53 anni, originario di Napoli ma da moltissimo tempo residente a Vicenza, volto noto alle forze dell'ordine, deve rispondere di omicidio premeditato. La vittima è il marito di sua figlia Cristina, Haidar Rohay Ahmed Al-Tawil, 28 anni, originario dello Yemen e, anche in questo caso con precedenti alle spalle. La coppia si era sposata con rito islamico (che in Italia non ha comunque alcun valore). Erano andati ad abitare in un appartamento di via Todeschini, al civico 34, quando lei era in attesa del primo figlio, un maschietto che ha quasi tre anni. Tre mesi fa era nata una bimba. LA LITE. Da quanto è emerso sembra che tra i due uomini, in passato, non ci fossero state tensioni tali da far temere che si potesse arrivare ad un simile epilogo. Molti raccontano di aver visto spesso Cipolletta a casa della figlia. Era pensionato e aveva molto tempo libero quindi spesso andava a prendere i nipoti. Ieri era il giorno in cui ricorreva la Id al-Adha, festa del sacrificio o dell'offerta a Dio e i musulmani sacrificano come Abramo un animale. La bestia viene sgozzata, con la recisione della giugulare che permette al sangue di defluire. Il tutto alla presenza dei bambini. E proprio questo Cipolletta non ha accettato. In base alla ricostruzione dei carabinieri e della polizia, che ieri hanno compiuto un'operazione congiunta, sembra che il pensionato abbia letteralmente perso le staffe quando, arrivato a casa di Cristina e del marito, si è trovato di fronte alla scena per lui raccapricciante dell'agnello sacrificato. Da qui la discussione, gli insulti, le parole grosse. Non è bastato andarsene da quella casa per calmarsi, anzi. La rabbia ha continuato a montare dentro di lui tanto che, anche nelle ore successive, c'è stato uno scambio di sms e telefonate con minacce. L'OMICIDIO. Alla fine qualcosa deve essere scattato nella sua mente. Cipolletta ha ammesso con le forze dell'ordine di aver preso la sua pistola (una calibro 22 clandestina, senza numero di matricola) e di essere andato sotto casa ad aspettare il genero. È stato paziente, lo ha atteso a lungo. Sembra che, vedendolo arrivare sia partito a folle velocità (tutti i testimoni dicono infatti di aver sentito una gran sgommata) e lo abbia quasi investito. Poi l'ennesima lite. Il genero lo ha colpito al volto con un pugno e lo ha stretto al collo. Lui non è mai sceso dalla macchina. Dopo le botte ha estratto la sua pistola. Un unico colpo, al petto. Un solo proiettile che lo ha preso in pieno e che è stato fatale al genero. All'arrivo dell'ambulanza del Suem non c'era niente da fare. Dopo un quarto d'ora appena l'arresto. Cipolletta prima scappa, si sbarazza della pistola e del telefono poi, però, va al bar. «Chiamate i carabinieri, ho ucciso un uomo». © RIPRODUZIONE RISERVATA LO SCONCERTO IN PARROCCHIA Don Alberto Baron Toaldo, parroco dell'Ausiliatrice a Saviabona, è sorpreso: «Un omicidio qui? Sono stato in chiesa fino alle 19 ma non ho sentito nulla». Chiede un cognome ma di coppie miste ammette di non conoscerne quasi nessuna. «Ho calcolato che qui vivono circa 500 nuclei familiari stranieri, per lo più moldavi e serbi che hanno acquistato vecchie case rimettendole a posto, ma anche qualche cattolico indiano e pachistano che vedo a Messa. Riguardo a questa famiglia non so dire nulla. E neppure dell'uccisore, che tra l'altro non credo neppure sia della mia parrocchia». In effetti Salvatore Cipolletta risiederebbe sotto la giurisdizione parrocchiale del Cuore Immacolato di Maria, a San Bortolo, ma il condizionale diventa a suo modo inevitabile dopo aver sentito don Antonio Gonzato, lì dal 1989. «Ho cercato anche nel mio archivio ma ho trovato solo un riferimento credo a un figlio. Sinceramente non conosco quest'uomo e la sua situazione». Paradosso di una vicenda esplosa apparentemente per motivi religiosi, per giunta a cavallo di due comunità legate, nel nome, alla Madonna, patrona di ogni famiglia. R.L.

Claudia Milani Vicenzi

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