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Oro etico e tracciabile, le aziende ci credono

Martina Colombari ieri a VicenzaOro January per presentare il gioiello solidale per aiutare il popolo di Haiti. FOTOSERVIZIO COLORFOTO
Martina Colombari ieri a VicenzaOro January per presentare il gioiello solidale per aiutare il popolo di Haiti. FOTOSERVIZIO COLORFOTO
Martina Colombari ieri a VicenzaOro January per presentare il gioiello solidale per aiutare il popolo di Haiti. FOTOSERVIZIO COLORFOTO
Martina Colombari ieri a VicenzaOro January per presentare il gioiello solidale per aiutare il popolo di Haiti. FOTOSERVIZIO COLORFOTO

«Nella responsabilità sociale essere piccoli non è più una scusa». Parola di Matteo Marzotto, vicepresidente di Italian Exhibition Group, che ieri mattina ha aperto il convegno “Difendere l’integrità della filiera del gioiello”, organizzato in collaborazione con Cibjo, la Federazione mondiale del gioiello, il cui presidente Gaetano Cavalieri ha moderato la mattinata.

A discutere del tema, filo conduttore di VicenzaOro January, un panel formato da Gabriele Aprea, presidente del Club degli Orafi; Wilfried Hoerner, presidente di Responsible Jewellery Council (Rjc) e direttore di Refining & bank products di Argor-Heraeus, leader svizzera nella raffinazione dei metalli preziosi; Andrew Bone, ceo di Rjc; Francesca Angeloni e Daphne Guelker, di UL, uno dei maggiori fornitori al mondo di servizi di ispezione e controllo della filiera.

Hoerner ha portato alcuni dati 2014 relativi alla produzione e alla destinazione di metalli preziosi, secondo i quali la quantità di argento supera enormemente quella di oro - quasi 30 mila tonnellate di cui 24.800 da miniera, contro 4.200 tonnellate (3.100 da miniera) – ma rappresenta solo il 9 per cento del valore del mercato, contro l’84 per cento dell’oro, il 4 per cento del platino e il 3 per cento del palladio, questi ultimi prodotti in quantità ridotte e destinati soprattutto a mercati diversi dalla gioielleria. Mentre nel caso dell’oro la produzione di gioielli assorbe il 54 per cento della produzione, la quota del platino è del 35 per cento e quella di palladio del 5 per cento.

Il punto chiave, oggi, è provare che quell’oro, ma anche le pietre che lo accompagnano, siano tracciabili ed etici, come certifica Rjc. «La nostra organizzazione – spiega Bone – è in forte crescita, con 935 membri da 66 Paesi, che rappresentano 8.054 aziende e 379.867 addetti. L’Italia rappresenta 177 aziende certificate, cresciute del 25 per cento nel 2016, sette delle quali hanno sia la certificazione riguardante il Code of practices, sia quella relativa alla filiera di oro e metalli preziosi. A breve vorremmo anche includere le gemme».

Bone ha scelto Vicenza per un annuncio sul processo di accreditamento. «Una delle difficoltà, per molte aziende, è il grande numero di documenti. Per questo abbiamo scelto di semplificare, creando un modello di autocertificazione che permette di capire cosa l’azienda abbia già fatto e dove debba ancora lavorare, che sarà il primo passo del procedimento».

Un ulteriore lavoro Cibjo e Ieg lo stanno facendo alle Nazioni Unite, dove sono anche accreditati all’Ecosoc. «Ci è stato chiesto di avere un ruolo consultivo nel Global compact – spiega Cavalieri – per incrementare l’azione anche verso le piccole aziende, che hanno bisogno di supporto nel campo della Corporate social responsibility. Stiamo inoltre lavorando per scrivere regole ancora più stringenti per quanto riguarda la trasparenza e la tracciabilità».

«Come Ieg stiamo contribuendo a questo lavoro – sottolinea Marzotto – Oggi dobbiamo agire tutti assieme, o scompariremo».

Maria Elena Bonacini

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