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Operaio jihadista?
Da accusa e difesa
sì alla sorveglianza

Il colpo di scena è arrivato ieri in aula, quando anche l’avvocato difensore di Arben Suma, l’operaio macedone accusato dalla Direzione distrettuale antimafia di apologia del terrorismo e istigazione all’odio razziale, ha chiesto al collegio che disponga a carico del suo assistito la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Una scelta, quella dell’avvocato Paolo Mele senior, solo apparentemente spiazzante. Perché il legale, con la sua richiesta, punta a dimostrare «l’assoluta estraneità ad ambienti o persone legate all’integralismo o al terrorismo islamico da parte di Suma»; e al contempo «attraverso la presenza delle forze di polizia a beneficiare di una costante tutela dell’incolumità personale e dei suoi cari». Visto che l’operaio, soprattutto nelle ultime settimane, avrebbe ricevuto minacce specialmente via web. La procura Antimafia e terrorismo, invece, attraverso il pubblico ministero bresciano, Fabrizio Celenza, ha ribadito davanti al presidente del collegio, il giudice Deborah De Stefano, la necessità della sorveglianza speciale nei confronti di Suma data la sua contiguità con ambienti vicini alla jihad e a un suo possibile, se non addirittura imminente, arruolamento nelle fila dello Stato Islamico.

ACCUSA E DIFESA. Al termine dell’udienza a porte chiuse di ieri mattina il pubblico ministero Celenza ha chiesto che ad Arben Suma venga applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora abituale per la durata di cinque anni. Per gli inquirenti gli elementi accusatori a carico dell’operaio macedone di 30 anni sono solidi e i contatti con l’universo estremista islamico provati dai post pubblicati su Facebook soprattutto a ridosso delle stragi avvenute a Parigi nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo (il 7 gennaio 2015 ndr) e al Bataclan e ai locali dell’XI arrondissement il 13 novembre scorso. Ma a volere la sorveglianza speciale è anche l’avvocato del macedone, che però propone una durata limitata a due anni e la possibilità che Suma possa spostarsi oltre i confini del Comune di residenza allargando il perimetro al territorio della provincia. Il collegio si esprimerà nei prossimi giorni dopo avere sciolto la camera di consiglio.

LA MEMORIA. Per cercare di dimostrare la sua estraneità alle accuse che gli sono state rivolte, Suma ha anche voluto scrivere e depositare una memoria in cui prova a ribattere, punto su punto, alle contestazioni della Dda e della Digos di Brescia. In particolare, riferendosi al post pubblicato in Facebook il 14 novembre scorso, quindi a ventiquattr’ore dagli attentati nella Capitale francese, l’operaio scrive: «Il post che si riferisce ai morti di Parigi non voleva essere un attacco alla popolazione francese, quanto alla politica francese che si è dimostrata indifferente alle terribili sofferenze subite dal popolo siriano e alle stragi compiute in quel paese musulmano. Stessa cosa dicasi per la vignetta pubblicata lo stesso giorno; anche in questo caso l’accusa è verso il governo francese che, con la sua politica, ha fomentato la terribile guerra tra popoli e culture».

LA DDA. Secondo la Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, invece, Suma era pronto alla jihad. Come testimonierebbero diverse frasi da lui pubblicate. Della serie: «Allah fortifichi ed espanda lo Stato Islamico e ci dia la possibilità di vivere la legge di Allah in un futuro prossimo». E ancora, riferendosi agli attentati di Parigi: «Sono solidale con i francesi come loro lo sono stati con le vittime musulmane. A loro non interessa il nostro sangue e a me quindi non interessa il loro».

Matteo Bernardini

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