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L’anniversario

Il sisma in Friuli
Quarant’anni
di dolore e ricordi

I soccorritori cercano i corpi delle vittime tra le macerie
I soccorritori cercano i corpi delle vittime tra le macerie
I soccorritori cercano i corpi delle vittime tra le macerie
I soccorritori cercano i corpi delle vittime tra le macerie

«Vivevo a Tarcento, avevo 8 anni. Vidi i monti venirmi incontro, terribile». Sono passati 40 anni eppure Giuseppe Sammarco, apprezzato consulente del lavoro nonché dirigente volontario del Vicenza Calcio, non riesce ancora a guardare una montagna senza provare angoscia. Il bambino di allora non ha mai messo da parte quella grande, improvvisa paura, perché un terremoto non si dimentica, ti resta nella pelle per sempre. Quel 6 maggio 1976 sono in tanti a ricordarselo. Anche qui, all'ombra dei Berici. Erano le 21.07 di una serata incredibilmente calda, quasi afosa, quando la terra tremò. Una scossa fortissima, la gente si riversò in strada presa dal panico. Del sisma, magnitudo 6.4 della scala Richter, e soprattutto del Friuli e della sua tragedia si saprà praticamente il giorno dopo. Allora non c'erano cellulari, internet era ancora un embrione. Le notizie arrivavano dalle prefetture e dai radioamatori, gli unici che, anche oggi, in caso di calamità naturali e di conseguente interruzione delle comunicazioni, riescono a collegarsi in tempo reale con i luoghi e le popolazioni colpite.

UN LAMPO SINISTRO. Claudio Pasqualin, udinese doc, ricorda: «Stavo rientrando da Roma in aereo, ero segretario dell'Associazione italiana calciatori. Guardando fuori dal finestrino, vidi un bagliore a nord est. Mi colpì. A Tessera ci dissero del terremoto, io avevo mia moglie a Vicenza incinta di Luca e fui preso dall’ansia. E quando seppi che l'epicentro era in Friuli, cercai di mettermi in contatto telefonico con i miei genitori a Udine». Come ogni friulano anche il giovane Pasqualin si rimbocca le maniche. Piangendo in silenzio gli amici morti. «Avevo giocato 2 anni nella Gemonese, tre miei ex compagni di squadra erano rimasti sotto le macerie. Coinvolsi i calciatori iscritti all'associazione e alla fine misi assieme 30 milioni di lire, non pochi. A settembre organizzai anche un'amichevole tra l'Udinese e la Roma di Liedholm, al termine della quale andammo in comune a Gemona. Avevo appena consegnato l’assegno al sindaco invitandolo a trasformarlo in pale, elmetti e macchinari, che un'altra scossa ci fece scappare tutti, compresi Francesco Rocca e Paolo Conti, mandati dalla società giallorossa».

IL CUORE DI VICENZA. Rileggendo il giornale di quei giorni viene la pelle d'oca. Di fronte alle notizie, alle cronache e alle foto della tragedia - che costò quasi mille vite umane - ma anche nel rileggere, giorno dopo giorno, la splendida gara di solidarietà che coinvolse tutti i vicentini, e non solo quelli di origine friulana, come il senatore democristiano Renato Treu. La mobilitazione fu generale, totale, spontanea. Da subito i lettori intasarono il centralino della redazione chiedendo il numero di conto corrente per le offerte. Molti di loro cominciarono a inviare buste contenenti denaro. I dipendenti dell'Inps raccolsero subito 192.700 lire, Zeffirino Filippi ne donò 500 mila. Tutti misero mano al portafogli a seconda delle proprie disponibilità. Studenti di tante scuole superiori si presentarono negli uffici prefettizi dichiarandosi pronti a partire.

LA MOBILITAZIONE. Alcuni gruppi alpini misero a disposizione cani antivalanga per cercare corpi e persone ancora in vita, gli ospedali plasma e posti letto. Un'intera scolaresca si presentò a donare il sangue ma fu respinta: erano ragazzi delle medie, tutti minorenni. Dalla ditta Stragliotto partì un camion di bare, altra terribile necessità, un'azienda di Sarego regalò 700 chili di garze e la Zambon 4 metri cubi di bende e medicinali.

La Rancan di Trissino inviò 3 capannoni prefabbricati da 20 posti ciascuno, la Fondazione Marzotto aprì il suo villaggio estivo da 800 posti a Jesolo. Si mossero anche le amministrazioni comunali, Vicenza in testa con l’allora sindaco Giovanni Chiesa, e non ci fu paese che rimase a guardare. «Gli alpini vicentini - sottolinea il presidente della sezione vicentina Luciano Cherobin - come sempre fecero la loro parte. Allora era presidente Vincenzo Periz, anche lui friulano. Ci sentimmo coinvolti direttamente verso una regione che si riteneva sorella nella vocazione alpina, e così cominciammo a organizzarci. I camion erano carichi di tutto, solo gli alpini di San Bortolo da soli misero assieme 50 quintali tra generi alimentari, medicine e guanti». Periz diventò responsabile Ana del campo di Magnano in Riviera. Giorno dopo giorno le iniziative si moltiplicarono. Croce Rossa, Aci, Rotary, la Provincia di Vicenza, le mamme di Anconetta, persino il Moto Club Vicenza, fabbriche di abbigliamento, concessionarie d'auto e agenzie di assicurazioni: ognuno diede quello che poteva. Alle Acciaierie Valbruna i lavoratori rinunciarono ad un giorno di paga, 25 milioni raddoppiati dalla proprietà. Il Giornale di Vicenza, collettore della generosità, raccolse circa 200 milioni ed alla fine fu adottato il piccolo comune di Montenars. Tra gli slanci anche quello della Juventina Bertesina, dell'avvocato Bortolo Brogliato, che inviò ruspe e pale macchine e come operai tanti ragazzi atleti della polisportiva.

PER NON DIMENTICARE. Enzo Bertossi, oggi presidente del Fogolar Furlan, all'epoca era direttore di banca a Bassano del Grappa: «La riconquista della normalità fu difficilissima, ma la gente qui ci fu sempre vicina, fu come sempre importante. Ricorderemo tutto sabato 18 giugno, sempre qui a San Vito. Ospiteremo il sindaco di Venzone e verrà proiettato un filmato di quegli avvenimenti». Perché ha ragione Garcia Marquez: dimenticare è difficile per chi ha cuore.

Roberto Luciani

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