<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

BpVi, scontro totale tra Consob e Bankitalia

L’ex sede storica della Banca popolare di Vicenza, in via Battaglione Framarin. L’istituto è al centro delle accuse fra organi di vigilanza
L’ex sede storica della Banca popolare di Vicenza, in via Battaglione Framarin. L’istituto è al centro delle accuse fra organi di vigilanza
L’ex sede storica della Banca popolare di Vicenza, in via Battaglione Framarin. L’istituto è al centro delle accuse fra organi di vigilanza
L’ex sede storica della Banca popolare di Vicenza, in via Battaglione Framarin. L’istituto è al centro delle accuse fra organi di vigilanza

Scontro totale. Davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche ieri è andata in scena la guerra fra Bankitalia e Consob, cioè fra chi doveva controllare - e intervenire - nella gestione di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza prima che si arrivasse al tracollo. Angelo Apponi, direttore generale di Consob, e Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza di via Nazionale, hanno scaricato sull’altro le responsabilità. «Su BpVi non ci è arrivata nessuna segnalazione», ha attaccato il primo. «Su Veneto Banca vi abbiamo scritto ma non vi siete mossi», ha replicato il secondo. Dopo 7 ore di interrogatorio sotto giuramento, però, non è andato in scena il faccia a faccia fra i due: il presidente Pierferdinando Casini lo ha rimandato se «dai verbali emergeranno difformità sostanziali, non su opinioni ma sui fatti».

Argomento principe del confronto è stato il valore del prezzo delle azioni, stabilito dai vertici degli istituti. In via Battaglione Framarin e a Montebelluna era sovradimensionato rispetto al reale. Per quanto riguarda BpVi, Apponi ha sottolineato che il mancato allarme è stato totale. Sulla banca presieduta da Gianni Zonin non sono arrivate segnalazioni dopo le ispezioni di Bankitalia del 2001 e del 2008. L’esposto di Adusbef a Consob non giunse, anche se le notizie erano di dominio pubblico. Barbagallo si è difeso spiegando che all’epoca ricopriva un altro ruolo, e ha ipotizzato che l’argomento non rientrasse «nel protocollo di collaborazione» fra i due enti. Palazzo Koch scrisse in procura, e BpVi dopo le segnalazioni «cambiò il meccanismo di formazione del prezzo delle azioni che era carente». Non solo: «Se Consob dice che non aveva i mezzi avremmo ispezionato noi, ce lo poteva dire».

Sullo stesso tema, sono volati gli stracci per Veneto Banca: Consob lamenta di aver ricevuto solo nel 2013 un rapporto di Bankitalia che «descriveva una situazione non certo di crisi». Barbagallo ha replicato che nella lettera c’erano tutti gli elementi per far scattare il warming, parlando «di un prezzo delle azioni incoerente» e descrivendo le difficoltà «con termini che non sono stati colti». Tornando a BpVi, Bankitalia spiega di aver inviato una nota a Consob dopo l’ispezione 2012 «da cui erano venute fuori problematiche ma non particolarmente catastrofiche sul rischio di credito». Consob però ha detto che da Vicenza «erano arrivati dati fasulli». E che l’obbligazione della BpVi del 2015 era stata approvata «da un’autorità estera di un Paese europeo».

Alla fine, alcune ammissioni: i protocolli di scambio fra le due autorità non includono quello sugli aumenti di capitale, «una mancanza che va colmata» per Barbagallo. «Il Parlamento non ci ha anticipato il potere di divieto di vendita di prodotti complessi, in vigore dal 2018», dice Apponi. «Il sistema di controlli può essere che non sia adeguato e serve una riflessione», dice Bankitalia. «Quanto è successo con le venete non è un successo», gli fa eco Consob. «Chi ha sbagliato paghi», ha commentato il segretario Pd Matteo Renzi.

Diego Neri

Suggerimenti