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Vicenza

Bimbo malato
Sfida tra i 2 papà
per l'adozione

Il piccolo Boris
Il piccolo Boris
Il piccolo Boris
Il piccolo Boris

Un bimbo di nove anni gravemente malato, un uomo che gli ha dedicato la vita senza esserne il padre, la legge italiana che da quattro anni chiede garanzie sulla tutela del bimbo e sullo sfondo un padre naturale che vive in Russia a 4mila chilometri di distanza, nella lontana Orenburg e che ha lasciato suo figlio nelle mani di una famiglia vicentina, in un reparto di oncologia, nelle aule dei giudici italiani e negli uffici del consolato russo.

LE IMMAGINI. Nel cellulare di Carlo scorrono le foto di Boris (nome di fantasia a tutela del minore). Al parco giochi, durante una festa in famiglia, insieme alla nonna materna. Oggi quel sorriso si accende e si spegne al reparto oncologico della Città della Speranza di Padova dove il bimbo che ha 9 anni, combatte contro un terribile tumore, il neuroblastoma. Lo combatte insieme a Carlo che non è il padre biologico e nemmeno quello adottivo perchè la procura del tribunale dei minori di sua iniziativa ha fatto appello, impugnando due sentenze che gli davano ragione.

IL LUTTO. L’odissea inizia il 10 luglio del 2013 quando Carlo perde per un arresto cardiocircolatorio la moglie Olga, mamma del piccolo Boris che all’epoca aveva sei anni, è considerato un minore non accompagnato e quindi il tribunale di Vicenza provvede alla nomina di un tutore legale. A quel punto il padre russo si rifà vivo e chiede di riportare il figlio in patria, ma essendoci la tutela del tribunale e il divieto di espatrio, il piccolo resta in Italia. Ma è da quel momento che la situazione precipita: dopo alcuni giorni di vacanza al mare il piccolo comincia ad avere alcuni problemi alla pancia e qualche linea di febbre, arriva il ricovero in chirurgia pediatrica di Vicenza e dopo una settimana la diagnosi è tremenda: neuroblastoma di stadio 4 con infiltrazione midollare e metastasi alle ossa, un maledetto cancro, inizia così il ricovero e la terapia con la Città della Speranza di Padova.

«Abbiamo da subito avvisato il tribunale di Vicenza che Boris avrebbe avuto bisogno di cure immediate, così come viene avvertito il Consolato russo che fa da tramite con il padre naturale - racconta Carlo - ma da quando ha saputo della malattia il papà naturale non si è più fatto sentire».

BATTAGLIA LEGALE. Il quarantenne vicentino che ha scelto di stare a fianco del bimbo, insieme alla madre e ai suoceri russi, inizia a questo punto la sua personale battaglia per essere riconosciuto padre adottivo, non tanto per sostituirsi al padre naturale ma per avere il diritto a prendersi cura di Boris. Lascia il lavoro per stare accanto al bimbo, per assisterlo nelle cure oncologiche, mentre al tribunale dei minorenni di Venezia, viene segnalata (da familiari e assistenti sociali) l’assenza del padre che però si fa vivo, sempre attraverso il consolato russo, dichiarando di non acconsentire l’adozione. Siamo nel 2015 e inizia un’aspra battaglia legale, tra il “papà vicentino“ e quello russo, sempre attraverso l’ambasciata che fa capire, secondo le testimonianze della famiglia vicentina, che il bimbo «è russo e si deve curare in Russia». Iniziano colloqui, udienze, vengono redatti documenti e alla fine Carlo vince la sua battaglia. Il 15 dicembre scorso il tribunale dei minori accoglie due ricorsi: il primo della nonna e zio russi che chiedevano che il bimbo restasse in Italia per le cure e il secondo in cui si chiedeva che Carlo diventasse padre adottivo in aggiunta al padre naturale senza sostituirlo.

«Una grande vittoria - commenta Carlo - io e Boris eravamo diventati una famiglia anche davanti alla legge, tanto che quella sentenza non solo fece scuola, ma fu inviata al Consiglio dei ministri». Una gioia che però dura poco perchè a metà febbraio la procura di Venezia fa appello di sua iniziativa, impugnando il provvedimento che ha autorizzato l’adozione e ad aprile è attesa la sentenza definitiva. Se venisse tolta la possibilità di adozione, verrebbe tolto anche il divieto di espatrio e il consolato russo potrebbe trasferire il bimbo a Orenburg dove non ci sono cliniche in grado di curare un tumore così aggressivo. «Senza contare - aggiunge Carlo - che il padre non si è più interessato di suo figlio».

IL RISCHIO. «Il paradosso - aggiunge Carlo - è che una sentenza di un tribunale italiano viene impugnata da una procura italiana, mentre il padre russo non aveva preso nessuna iniziativa. A perderci in tutto questo è il piccolo Boris che ha bisogno delle migliori cure che a Orenburg non sono garantite. Lo sappiamo tutti, se la Russia vincesse questa battaglia per decisione della giustizia italiana, quello che ho sempre considerato come un figlio, andrebbe a morire in un anonimo istituto. Se il problema sono io, sono disposto a farmi da parte, ma Boris deve restare in Italia per combattere al meglio la sua disperata battaglia». A metà aprile la sentenza per conoscere il destino del piccolo Boris che rischia di lasciare l’Italia senza sapere il perchè .

Eugenio Marzotto

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