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Il caso

Hitler? Nato
in una famiglia
di comunisti

Carlos Hitler Benito Corimanya
Carlos Hitler Benito Corimanya
Carlos Hitler Benito Corimanya
Carlos Hitler Benito Corimanya

Il campanello d’ingresso a casa di Carlos Hitler Benito, a Sarson, suona una, due, tre volte. Nessuna risposta. Non sarà che il 49 enne peruviano dal nome singolare ha scelto l’esilio? Si affaccia un vicino. «Provate l’altra casa, dai parenti».

Hitler Benito non c’è neppure qui e a quanto risulta non sarà raggiungibile almeno per i prossimi giorni, in compenso in tinello c’è una foto di Peppino Impastato. Poi la bandiera della pace e riferimenti ai movimenti di liberazione dell’America latina. È possibile che un omonimo del Führer abiti in una casa i cui miti sono Giovanni Falcone e Gandhi?

«Sì, è mio fratello - interviene la sorella Delia Benito in Bonato - Il nome “Hitler”? Lo confermo, ma è solo il secondo, non lo usa mai e per tutti è Carlos. Anzi, Carlo, da quando abita in Veneto».

Resta da capire il perché di questa bizzarria anagrafica. «Un motivo c’è - precisa la sorella, già candidata in una civica di sinistra in città come la figlia -, ma è meglio che lo chiediate a lui. I suoi amici più cari lo sanno, mio fratello non c’entra nulla con il nazismo, usa il nome solo quando è costretto, ma di più preferisco non dire. È una questione di rispetto».

Interviene il cognato Lino, pioniere dell’ecologismo bassanese e consigliere comunale negli anni ’80 con Democrazia proletaria e con i Verdi e strappa un aiutino. «Controllate la storia del Perù nel XX secolo».

USANZE SUDAMERICANE. Negli anni ’60 l’America latina era un tourbillon di giunte militari che più o meno esplicitamente manifestavano ammirazione per il Terzo Reich. Il Perù non faceva eccezione e, in un’epoca in cui internet era solo un sogno, nelle aree rurali delle Ande i giornali (quando arrivavano) erano perlopiù compiacenti fogli di regime che lisciavano il pelo al dittatore di turno.

Da qui la possibilità più che concreta che qualche funzionario dell’anagrafe fin troppo zelante “suggerisse” di attribuire al pargolo un nome gradito ai dignitari del regime. Nome che per una famiglia di agricoltori di montagna era solo uno tra tanti, forse un po’ esotico ma nulla più. C’è poi la teoria che accanto al “santuario” di Bariloche in Argentina, sostanzialmente una cittadina bavarese di medie dimensioni in piena Patagonia, vuole che la diaspora dei gerarchi nazisti abbia interessato un po’ tutta l’America latina.

E, siccome questi signori arrivati dall’Europa si facevano apprezzare dagli ignari nativi per tratto distinto e modi gentili, alle anagrafi sono fioriti gli Hitler, i Mengele e gli Eichmann. Qualche anno fa, poi, Carlos Hitler Benito ha scelto l’Italia, e la combinazione tra il secondo nome e il primo cognome, nel Bel Paese ha fatto saltare più di qualcuno sulla sedia.

LE REAZIONI NEL BORGO. Potrebbe chiamarsi anche Belzebù ma a Sarson nessuno deve toccare “Carlo”. I vicini lo descrivono come persona perfettamente inserita nella vita della frazione. Disponibile e gentile con tutti, lavora da anni in una fabbrica a poche centinaia di metri da casa e non è raro vederlo di prima mattina mentre porta a spasso i suoi cani. Nulla di più lontano, quindi, dal tipo umano del Terzo Reich. Quanto alla guida in stato di ebbrezza da cui è dipesa la “scoperta” dei due nomi incriminati, anche qui i vicini sono dalla sua parte. «Aveva solo fatto festa. Un po’ più del solito. A chi non è mai capitato? Carlo xe un bravo toso». Nessun timore, quindi, nell’avere un Hitler come vicino di casa. A Sarson, semmai, i problemi sono altri. «Gli edifici cadenti e tutte queste macchine che passano a cento all’ora e sfiorano i nostri ingressi. Ma si può? Gliel’abbiamo detto un sacco di volte in Comune di mettere dei rallentatori».

Lorenzo Parolin

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