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«Sognavo una vita da pastore»

Fabio Fornasa, 54 anni, con uno dei suoi fedeli cani da pastoreIl gregge di pecore in cammino verso le malghe di montagnaSono circa un migliaio gli ovini allevati da Fabio FornasaUn’altra  immagine delle pecore sotto ai Berici. FOTOSERVIZIO GREGOLIN
Fabio Fornasa, 54 anni, con uno dei suoi fedeli cani da pastoreIl gregge di pecore in cammino verso le malghe di montagnaSono circa un migliaio gli ovini allevati da Fabio FornasaUn’altra immagine delle pecore sotto ai Berici. FOTOSERVIZIO GREGOLIN
Fabio Fornasa, 54 anni, con uno dei suoi fedeli cani da pastoreIl gregge di pecore in cammino verso le malghe di montagnaSono circa un migliaio gli ovini allevati da Fabio FornasaUn’altra  immagine delle pecore sotto ai Berici. FOTOSERVIZIO GREGOLIN
Fabio Fornasa, 54 anni, con uno dei suoi fedeli cani da pastoreIl gregge di pecore in cammino verso le malghe di montagnaSono circa un migliaio gli ovini allevati da Fabio FornasaUn’altra immagine delle pecore sotto ai Berici. FOTOSERVIZIO GREGOLIN

Se anche le rondini sono disorientate per l'assenza ormai delle mezze stagioni, pecore e pastori vivono ancora questo cambiamento stagionale. Così il primo giorno di primavera, si è ripetuto un rito arcaico, tramandato dalla notte dei tempi, con l’avvio della transumanza dal piano, dove le pecore hanno svernato, alla montagna dove vi rimarranno fino ad autunno inoltrato.

Rito, abitudine e necessità, il 21 marzo è per uno degli ultimi pastori vicentini che con le sue mille pecore, un momento importante nel calendario delle stagioni pastorali: il passaggio da una sponda e l’altra del Bacchiglione, per poi iniziare la lenta risalita alla montagna. Significa attraversare uno storico ponte, quello di Montegalda, bloccando il traffico con quadrupedi gonfi di lana che per un istante fanno tornare un senso di nostalgia per il passato. Due epoche che s’incontrano, con un passato remoto e un presente che ha perso il legame con la naturalezza delle stagioni, dove la professione del pastore è ormai un mestiere estinto o quasi.

Chi rimane, come Fabio Fornasa, 54 anni di Longare ma nativo di San Vito di Leguzzano, è solo uno che resiste alla storia, sapendo di non essere più capiti dalla gente. «Troppa fatica. Tanti sacrifici e pochi guadagni». «In fondo -dice l'ultimo pastore del Basso Vicentino-, è quello che mi sento ripetere quotidianamente dalle persone che incontro di paese in paese. Accade così da anni, tant’é che è faticoso fargli comprendere che la mia resta una passione e non una tradizione» visto che fa questo mestiere da quando aveva 17 anni, e vide un pastore bivaccare davanti casa sua. «Da quel momento, dissi che da grande avrei fatto il pastore!», e così è stato. Ciò che invece non poteva immaginare è che nell’arco di un trentennio sarebbe diventato uno degli ultimi pastori del Vicentino. Oggi aggrotta la fronte e alza le mani rassegnato: «Ea ze pasion, non poso farghe gnente!». L’ordine che ha impartito ai suoi due collaboratori romeni, «visto che i nostri ragazzi mollano subito» il primo giorno di primavera è quello di attraversare la provinciale Grimana per poi montare con tutto il gregge sul ponte che valicare il Bacchiglione. È così da decenni e forse secoli. .«Oggi c’è da oltrepassare il fiume, e conta poco se non è più l’acqua a far temere per il gregge, ma piuttosto sono le macchine moderne con la loro frenesia a trasformarsi in pericolo d’incidente». S’intuisce che qualcosa d’importante sta per avvenire, e ad infrangere il fascino di questo inizio di transumanza è lo squillo del telefonino di Fabio, il pastore capo. È un suo amico e collega che gli comunica d’essere già dall’altra parte, pronto a fermare il traffico al passaggio del gregge. Prima però bisogna caricare nel camioncino gli ultimi nati: una coppia di agnelli gemelli partoriti solo pochi minuti prima, “sbocciati” a primavera.

«La gente di oggi non sa più nulla di pastori e pecore, tanto da vederci come degli alieni o gente fuori dal tempo. I più finiscono poi con l’associare le pecore alle zecche– spiega Fabio-, senza sapere che vacciniamo tre volte all’anno gli animali, evitando che i parassiti si annidino nel vello. La lana, poi, va a finire tutta all’estero. Fortuna vuole che vengono a tosarla e ritirarla senza alcuna spesa, sollevandoci dall’onere di doverne pagare poi lo smaltimento qui in Italia». afferma Fornasa, affiancato dalle sue due guardie del corpo, Reno e Puci, i cani pastori che sono la sua ombra da un decennio. Altri tempi i miei, quando inizò 35 anni fa. Oggi il pastore ha il cellulare, la macchina, il letto nel furgone. Ma questo non gli evita di dover fare una ventina di chilometri al giorno di cammino. Ieri come oggi, con il tempo delle stagioni che va rispettato: «Benché queste stiano cambiando velocemente e rappresentino un’altra incognita per il nostro futuro», conclude Fabio salutandoci con un cenno di bastone.

Antonio Gregolin

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