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Vicenza

Senza Lidija e Gabriela: «Un anno di dolore. Lasciati soli dopo la tragedia»

Daniele Mondello: «Una parte di me è morta quel giorno con la mia compagna. L’unica colpa che mi do è quella di aver sottovalutato il pericolo»
Vicenza, duplice femminicidio (COLORFOTO/FRANCESCO DALLA POZZA)

«È l’una di pomeriggio e Daniele Mondello è in via Vigolo che sta spazzando davanti alla lapide della sua Lidija per fare pulizia. Lidija Miljkovic è la donna che gli ha cambiato la vita e che l’ex marito Zlatan Vasiljevic ha ucciso esattamente un anno fa in Gogna sparando diversi colpi di pistola. L’assassino, che si è tolto la vita qualche ora dopo in tangenziale, poco prima aveva freddato anche Gabriela Serrano, donna con cui aveva intessuto una relazione che era terminata. Mondello, da quel mercoledì, va in via Vigolo ogni giorno: «Mi rendo conto che è morta una parte di me, ma quando sono qui la sento più vicina». 

Mondello: «Non riusciamo ad accedere ai fondi per casi come questi»

È passato un anno dal duplice tragico omicidio ma nessuno ha aiutato Mondello o i due figli di Lidija che lui considera a tutti gli effetti figli suoi: «No - racconta commosso - Oltre a parlare dei femminicidi quando succedono, bisognerebbe discuterne dopo. Bisognerebbe parlare non solo con me e con i ragazzi con chiunque sia stato colpito da un femminicidio, come gli stessi figli di Gabriela, per capire cosa accade dopo. Tutte le belle parole che sono arrivate, non sono diventate fatti». 

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Nessun supporto: «Non è nemmeno stata riconosciuta la causa di lavoro - ricorda Mondello, facendo riferimento al fatto che la donna di origine serba è stata uccisa da Vasiljevic mentre si stava recando al lavoro - L’unica cosa che è stata riconosciuta è una pensione di Lidija. Si tratta di soldi che vanno in un conto corrente per le esigenze dei ragazzi. Ci sarebbe una borsa di studio annuale per i ragazzi che non siamo riusciti a ottenere perché nessuno sapeva niente. Ci sarebbero dei fondi per le famiglie affidatarie ma non riusciamo a capire a chi rivolgerci, perché nessuno sa niente».

Manca una persona che spieghi alle famiglie che aiuti si possono chiedere

Mondello è amareggiato ma fa una proposta: «Quando succedono queste cose, dovrebbe esserci una persona di riferimento per spiegare tutto quello che si può fare e tutto quello che non si può fare. Invece sembra che nessuno sappia niente. Un esempio è quello dei libri scolastici per i ragazzi. A settembre mi hanno chiesto se avessimo già preso i libri, ovviamente li avevamo già, ma mi hanno detto che ne avrebbero avuti di gratuiti. Nessuno però ci ha avvisati. Eppure l’episodio era noto a tutti. Oltre a tutto il dolore, che non passerà mai, ti accorgi che non c’è niente, o comunque niente a nostra conoscenza». Lidija è stata uccisa a Vicenza ma viveva a Schio. Nessuno, a quando pare, ha alzato il telefono dai municipi per tendere una mano: «Il Comune di Vicenza non può fare niente perché Lidija risiedeva a Schio, anche se il fatto è successo qui - racconta Mondello -. Il Comune di Schio non ci ha nemmeno tolto i 1.300 euro di cimitero».

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Impossibile non vedere il nome “Lidija” tatuato sul polso di Mondello. Ha anche le iniziali dei ragazzi tatuati sui polpacci: «Una cosa grande che ho imparato è che bisogna sempre essere previdenti - racconta - Una delle prime cose che ho fatto è andare in banca a sistemare tutto, come dovrebbe fare ogni buon padre di famiglia. Se mi succede qualcosa, il mutuo viene estinto e i soldi vanno direttamente ai ragazzi». 
Mondello non cita il mutuo a caso. Lui e Lidija avevano comprato un appartamento nel Quadrilatero e stavano per rimetterlo a nuovo. Ha portato a termine il loro sogno e ora vive lì con i “suoi” ragazzi, i figli di Lidija. 

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«La famiglia dell'assassino non si è più fatta viva»

A proposito di famiglia, quella di Vasiljevic di cui comunque i ragazzi portano il cognome, non si è più fatta viva: «Nessuno - sintetizza Mondello - Sono successe delle cose che non posso rivelare. Non c’è nulla di semplice, purtroppo». 
Lo aveva detto da subito, ma davvero Mondello va in via Vigolo ogni giorno, davanti alla lapide che ha fatto installare per Lidija, a pochi metri dal luogo dove è stato rinvenuto il suo corpo esanime: «Mi capita andando o tornando dal lavoro, vengo qui anche solo per darle un bacio. Vado anche al cimitero ma qua mi sembra più di averla più vicina, anche se non posso fare a meno di girarmi e guardare il luogo dove è stata uccisa. Le porto i fiori sempre, per ogni ricorrenza, la Festa della donna, quella della mamma, i compleanni, Natale».

«Mi è stato tolto tutto»

Il tempo però non sistema le cose: «No. A me è stato tolto tutto. Una gran parte di me è morta quel giorno lì. Faccio una vita normale, lavoro, ma mi accorgo che non sono più io. Il sorriso me l’ha donato madre natura ma se qualcuno mi guarda gli occhi capisce tutto. A me capita di essere per strada, vedere il tramonto o l’alba, e il mio pensiero va sempre là. Non è tanto per me, io le cose posso continuare a farle. Lei invece no. Dopo tutto quello che le era successo, era piena di vita, voleva fare mille cose. L’unica colpa che mi do è che ho sottovalutato l’altra persona. Non avrei dovuto».

Karl Zilliken

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