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L'intervista

Toto Rondon: «Da professionista entrai in campo con una pistola alla schiena: "È meglio che oggi non segni"»

L'indimenticato bomber biancorosso si racconta al GdV. Parla di tutto: di quando giovanissimo il Vicenza non lo scelse, delle stagioni in C e in B al Sud, dell'amicizia con Roberto Baggio cui dava passaggi in auto. E anche di episodi inediti.
Toto Rondon
Toto Rondon
Toto Rondon
Toto Rondon

Nel giardino su cui si affaccia la rosa casa colonica ad accogliermi c'è un bimbetto che, nonostante l'afa, sgambetta e calcia di sinistro. A seguirne orgogliosamente le gesta pallonare è il nonno, all'anagrafe fa Antonio Rondon, detto Toto, uno che col mancino ha punito un sacco di portieri. Comincia insieme a Lucio, due anni, il più piccolo dei 5 nipoti, e all'immancabile pallone l'incontro con una delle bandiere più amate della storia del calcio biancorosso.

Toto, a Malo sei conosciuto quanto o più di Gigi Meneghello, ti imbarazza?
Non scherzare! Lui è il simbolo di Malo, io sono ben voluto. I libri di Meneghello io li ho letti, lui non credo abbia mai avuto occasione di assistere ad una delle mie partite o vedere uno dei mie gol.

Sei stato un giocatore con la valigia in mano, ma ci sono voluti 10 campionati da professionista per farti arrivare a Vicenza. È vero che a 18 anni, dopo 10 gol in 15 partite in Promozione con i nerostellati, il Vicenza ti preferì tal Lino Vanzo?
È andata così: quell'anno giocavo il sabato con la juniores di Lele Borghesan, firmai 60 gol, e la domenica con la prima squadra, alla fine finii a Bolzano. Nel 1977 mi volle il Brescia con mister Gigi Simoni, giocai poco, troppo forte la concorrenza. A fine campionato mi telefonò il ds Biagio Govoni: "Ti abbiamo ceduto al Barletta in C2". Tornai a casa con la mia 127, appena il tempo di fare la valigia e partii. Viaggiai tutta la notte con mio padre Nello che con la cartina stradale mi indicava il percorso. Un'avventura, ma ero solo all'inizio della mia campagna al sud, che mi portò a giocare anche con l'Anconitana e poi a Taranto. Senza l'aiuto di mia moglie Nazzarena sarei scappato più di una volta. Al termine della stagione 81-82, avevo deciso di avvicinarmi a casa e, inaspettata, arrivò la chiamata del Treviso. L'aria veneta mi trasformò, 33 partite e 16 gol. E poi la svolta, Ernesto Galli e mister Bruno Giorgi mi vollero a tutti i costi nel nuovo Vicenza.

Ci sarebbe da scrivere un romanzo su quei primi anni da professionista.
Ti racconto solo due episodi. Partita decisiva per la promozione. Col Barletta andiamo a giocare a Ponticelli contro il Campania. Appena scesi dal pullman venimmo aggrediti a calci da uno sciame di ragazzini spuntati all'improvviso, una volta raggiunto lo spogliatoio, due miei compagni, subito dopo aver varcato la porta, svennero. Avevano versato sul pavimento acido muriatico. Alla fine perdemmo e salì in C1 il Campania. Due anni dopo sempre con il Barletta altra sfida decisiva sul campo della Turris. In quella stagione avevo già firmato 10 reti, lungo il tunnel che porta al campo mi si avvicina un personaggio, mi punta una pistola alla schiena e mi sussurra: «Rondò oggi è meglio che non segni». Vinse la Turris 2 a 0. Meglio così!

Nemo profeta in patria, per te non è stato così. In biancorosso 151 presenze 59 gol, più quello decisivo nello spareggio contro il Piacenza che riportò il Vicenza in serie B.
Gli anni più belli. Nella prima stagione fui capocannoniere con 24 gol. Senza l'episodio della monetina, che colpì il portiere Bianchi del Bologna, e ci costò la sconfitta a tavolino e, avessimo evitato la, da voi giornalisti chiacchierata, debacle al Menti col Parma, avremmo vinto il campionato. Ci riuscimmo l'anno successivo, dopo lo spareggio di Firenze. In B il "magico" Vicenza di Giorgi, tecnico di poche parole ma capace come pochi di preparare le partite, diede lezioni di calcio. Conquistammo la promozione, che ci fu ingiustamente tolta, per i fatti del calcio scommesse dell'anno prima. È la più grande amarezza, a 30 anni avrei potuto giocare in serie A.

Il 3 giugno 1983 al Menti Roberto Baggio segnò il suo primo gol da professionista. Tu in quella partita avevi già firmato una doppietta: cosa accadde all'85' quando l'arbitro assegnò il rigore?
Segnando avrei potuto raggiungere il record di De Falco a quota 25 reti, ma preferii dare a Roby l'occasione di assaporare il gusto di fare gol sotto la magica curva sud. Con Baggio mi legava già una bella amicizia, era un ragazzino, gli feci da "autista" per un anno con la mia mitica Alfasud. Il mister non voleva che venisse ad allenarsi in motorino e passando per Caldogno lo prelevavo a casa.

Nel 1988, dopo aver sfiorato il ritorno in serie B, la scelta di lasciare Vicenza e cominciare l'esaltante avventura col Thiene dei record. Lì incontrasti Pieraldo Dalle Carbonare e Sergio Gasparin.
Fu una decisione che sorprese tutti, avrei potuto restare a Vicenza, ma avevo sentito venire meno la fiducia e mi intrigava il progetto di Pieraldo. Vincemmo il campionato di promozione battendo tutti i record, segnai 29 reti. L'anno dopo la famiglia Dalle Carbonare rilevò il Lane, non era previsto, altrimenti, sono sicuro che col Thiene saremmo approdati nel calcio che conta.

Toto campione, un esempio in campo ma anche fuori. Nella società, che fa i conti con la denatalità, tu sei padre di 6 figli. Siete in tanti a tavola.
Un privilegio. Oggi quando ci riuniamo siamo in 19. Beatrice, Mary, Valentina, Giovanni, Roberto e Stefano, sono i gol più belli. I figli sono un dono di Dio, certo sono un impegno, chiedono sacrifici, creano qualche preoccupazione, ma sono un condensato di gioia, aiutano a dare senso alla vita.

Tu sei un uomo di fede, non hai fatto mistero del tuo impegno cristiano, da calciatore questo ti ha creato problemi?
Qualche volta sono stato bersaglio di attacchi e provocazioni, ma, quando sei in campo, riesci a non sentire certe offese gratuite. La mia conversione è avvenuta nel 1985 dopo un viaggio a Medjugorie, da lì è iniziato un cammino di revisione della vita, che mi ha trasferito maggiore responsabilità, ma pure la consapevolezza di quanto è straordinario ogni giorno, di quali solo le cose che contano sul serio e che ti fanno stare bene, di come sia possibile vivere in maniera meno superficiale e con più distacco dalla materialità. Da 38 anni frequento San Martino e l'opera Regina dell'Amore, non sono sempre stati momenti facili, ma a Poleo, incontrando tante belle persone e dando significato alla fede, ho preso coscienza di cosa voglia dire, sul serio, essere cristiano.

Come ti trovi a fare il nonno?
È tanto difficile quanto straordinario. Se i figli sono un dono, i nipoti sono una grazia, perché cancellano ogni tristezza.

Finiamo tornando al calcio, ma perché, come lamenta Roberto Mancini, in Italia non ci sono più bomber?
I successi delle under 19 e 20, stanno a significare che i bravi giocatori ci sono e pure gli ottimi attaccanti. Serve farli giocare in prima squadra, come accade in Inghilterra e Spagna. Le società italiane debbono cambiare mentalità, avere più coraggio e, a proposito di centravanti, sentiremo presto parlare dei nostri Mancini, Alessio e Tonin.

Luca Ancetti

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