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L'impresa fallita

Sfida al Nanga Parbat, la spedizione si ritira. Vielmo: «Troppi rischi»

Alzare bandiera bianca e cantare vittoria. Si può fare. Mario Vielmo lo ha fatto. Ieri mattina ha detto stop, ha posto fine dopo oltre un mese alla spedizione sul Nanga Parbat, 8126 metri, nona montagna della terra. Non è stata una scelta a cuor leggero, perché non è mai facile, - dopo mesi e mesi di preparazione e dopo settimane di fatiche e sacrifici per montare i campi alti e acclimatarsi a dovere -, rinunciare a un obbiettivo di prestigio che pareva essere ormai alla portata, all'ebrezza dell'aria sottile di un ottomila. Che per la guida alpina di Lonigo poteva essere la tredicesima perla della sua personale raccolta. Ma Vielmo, himalaysta di grande e collaudata esperienza, non ha avuto dubbi e ha fatto calare il sipario sull'esperienza in Karakorum. Lo ha fatto a ragion veduta, senza rimorsi e senza rimpianti.
«Troppo pericoloso, troppi i rischi. Non vale la pena mettere in gioco la vita per una vetta, né la mia né quella dei miei compagni, Tarcisio Bellò, Nicola Bonaiti e di Alì Musa, il mio amico pakistano con il quale lo scorso anno ho scalato il Gasherbrum 1 e che con il Nanga avrebbe raggiunto tutte le cinque cime degli ottomila pakistani», ha detto ieri mattina all’amico giornalista e alpinista Claudio Tessarolo, prima di comunicare la sua decisione “urbi et orbi” attraverso un post sui social.
«Ne ho parlato con gli altri, ho espresso loro tutte le mie perplessità legate alla situazione meteo e alle condizioni della montagna. Abbiamo deciso tutti assieme di rinunciare», ha raccontato Vielmo. «Stavamo aspettando una finestra di bel tempo dopo giornate di tempo sempre molto incerto con le temperature in crescita costante. Era sembrato che lunedì 11 e martedì 12 fossero i giorni giusti per tentare la vetta, anche se le previsioni davano venti in quota. Sabato eravamo pronti a partire per Campo 1, con l’obiettivo di raggiungere Campo 3 a 6800 metri lunedì sera e poi partire direttamente per la vetta, saltando Campo 4...». Invece le cose sono andate diversamente.
«Sabato mattina sono precipitosamente tornati al campo base gli sherpa di una spedizione commerciale partita venerdì per tentare la cima: la via Kinshofer è diventata una trappola mortale, ci hanno detto. Le temperature elevate degli ultimi giorni l’hanno resa quasi impraticabile. Ci hanno raccontato che dalla parete ghiacciata per il caldo si staccano i chiodi e fittoni posizionati nelle scorse settimane per le corde fisse, e che il pendio ghiacciato è bersagliato da pietre grandi come tavoli. Veri e propri micidiali proiettili. Era una pazzia affrontarli...».
La stessa allarmata testimonianza – ha detto ancora Vielmo - l’ha fornita appena rientrato al base anche Marco Confortola, guida alpina della Valtellina impegnato nella salita con un alpinista turco al suo quattordicesimo ottomila. Anche Confortola, grande amico del vicentino con il quale ha tentato il G1 lo scorso anno fermandosi, diversamente da lui, a poche centinaia di metri dalla cima, ha dovuto arrendersi alle proibitive condizioni della montagna. «Mi ha detto che anche sopra i 7500 metri le condizioni sono diventate difficilissime, per la neve molle a causa del caldo, per il fondo di vetrato sottostante e per le continue scariche di pietre di grandi dimensioni e frammenti di ghiaccio a tempestare proprio la via di salita. Marco è un himalaysta di grande esperienza, ma nemmeno lui se l’è sentita di continuare e tentare la cima. Ha preferito fare dietro front e tornare al campo base, sia pure a mani vuote...». Insomma, una trasformazione di scenario in massima parte imputabile ad un innalzamento delle temperature che fino a pochi anni fa a queste latitudini era semplicemente inconcepibile. I mutamenti climatici non risparmiano nessuna area della crosta terrestre. Così affrontare la via “normale” del Nanga Parbat, una montagna già di per sé impegnativa, tecnica e oltremondo difficile, da pochi giorni equivale a cimentarsi in una sorta di roulette russa. Una roulette che Tarcisio Bellò ha toccato con mano. Sabato notte ha cercato di salire con Alì a Campo 2 per recuperare il materiale di gruppo. È partito diligentemente di notte, ma a tre quarti della salita una scarica di sassi lo ha indotto a fare precipitosamente marcia indietro. A quel paese anche il materiale: la vita val ben più di una tenda d'alta quota. «Tornati al base anche Tarcisio e Alì fortunatamente sani e salvi, abbiamo cominciato a fare i bagagli. Non potevamo certo restare qui ad aspettare condizioni che ormai non si possono più verificare. Peccato, perché eravamo tutti ben acclimatati, avevamo piazzato le tende fino a Campo 3, avevamo fatto tutto per bene, aspettavamo solo il via libera dalle previsioni meteo...», le considerazioni di Vielmo. Amare, ma pronunciate però con un tono tutt'altro che rassegnato, o deluso. Semmai la tristezza in queste ore l'hanno data le tragiche notizie giunte dalla Marmolada, dove anche Vielmo ha perso colleghi e amici. «La vita è sopra ogni cosa. Abbiamo fatto la scelta giusta mettendo fine alla spedizione, la montagna resta qui ad attenderci, anche se quest'anno ci ha voltato le spalle. Ma va bene così. Il nostro era un sogno e resta tale. Ci riproveremo».

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