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Vicenza/Recoaro

«Positiva, una notte in corridoio. Adesso è in condizioni critiche»

di Karl Zilliken

Ora è ricoverata in condizioni critiche al San Bortolo a causa del Covid che l'ha colpita con violenza. Per arrivarci, in corsia, però è passata attraverso una settimana di passione. Lo raccontano una delle figlie e il genero di una recoarese di 65 anni. Hanno chiesto di rimanere anonimi, per rispettare la privacy sanitaria di una paziente che è entrata nel meccanismo della gestione dell'emergenza. E non lo ha fatto dalla porta principale.

 

«Martedì 27 ottobre ha fatto un tampone rapido che è risultato positivo in un centro medico privato - è la testimonianza dei familiari - Poi è stata chiamata per un tampone molecolare che è stato eseguito venerdì 30 ottobre ad Arzignano. Il risultato non è mai arrivato in tempo utile». Giorno dopo giorno, il peggioramento delle condizioni: «Lunedì ha iniziato ad avere qualche problema respiratorio, pertanto aveva richiesto un sopralluogo da parte dell'Ulss per poter esser visitata e, nel caso fosse stato possibile, per ricevere eventuali farmaci. Mercoledì, le difficoltà respiratorie. Non riusciva più a parlare e aveva la febbre molto alta. Su consiglio del medico di base è stato allertato il 118». Oltre alla signora, sono risultati positivi ai tamponi anche il marito, le due figlie ed entrambi i generi che, quindi, non possono agire attivamente per aiutare la donna.

 

«Dopo il trasporto al San Bortolo è iniziata un'altra odissea - continuano - È arrivata alle 22.30 ed è rimasta seduta su una sedia a rotelle con l'ossigeno fino alle 6.30 della mattina successiva, quella di giovedì. Solo dopo aver scongiurato un'infermiera, è stata posizionata su una barella in un corridoio, dove è rimasta fino alle 17.30 del giovedì, sfinita, al freddo, a digiuno e senza alcuna rassicurazione da parte del personale. Solo a quell'ora è stata portata in una delle stanze dell'ospedale». Da qui lo sfogo: «Questa situazione è uno schifo». Parole piene di amarezza perché la situazione si è prodotta non per noncuranza del personale ospedaliero, ma per il fatto che la loro mole di lavoro è tale per cui non è possibile assistere tutti con il tempismo auspicabile. «In palese difficoltà respiratoria, ha dovuto passare la notte nel corridoio seduta su una sedia a rotelle senza la minima assistenza, quale una coperta o un bicchiere d'acqua - riflette la figlia - L'essere in uno stato di emergenza e non avere capacità di posti letto non esula dall'assistenza basilare dai doveri del personale ospedaliero. Per giunta, nonostante le mie continue chiamate a centralini, numeri di reparto e pronto soccorso, non ho avuto nessun riscontro sulle condizioni di salute di mia madre fino a quando lei stessa, 15 ore più tardi, ha avuto la forza di mettersi in contatto con noi per raccontarci quello che era accaduto». Poi il ricovero nel reparto di malattie infettive: «Mia mamma ha una polmonite in corso e ha iniziato la terapia al plasma, anche se ci dicono che la banca è in esaurimento e sarebbe importante che chi può donasse. Finalmente, in questo reparto ha trovato le attenzioni di cui ha bisogno, anche se non è fuori pericolo».

 

La figlia e il genero non sono rimasti con le mani in mano ma si sono seduti davanti al computer per scrivere al presidente della Regione, Luca Zaia. Oltre al racconto qui riportato, i due hanno lasciato spazio ad alcune considerazioni: «So che non rientra tra le competenze di un governatore l'amministrazione del personale - il pensiero della figlia - La mia domanda è: perché tutti i pazienti Covid del distretto Ovest dell'Ulss 8 devono essere trasferiti a Vicenza per stare in attesa in un corridoio? Partendo da Recoaro, forse, mia madre si sarebbe potuta risparmiare una giornata in sedia a rotelle, così come i pazienti che vengono "parcheggiati" in corridoio ogni giorno. Sarebbe importante tracciare i positivi ma anche i negativizzati per poter permettere le donazioni di plasma».

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