<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Il ricordo

«La mia naja
a Belluno
con Lapo Elkann»

Lapo Elkann
Lapo Elkann
Lapo Elkann
Lapo Elkann

Le speranze di Lapo Elkann di passare in incognito la naja s’infransero un paio d’ore dopo aver varcato l’ingresso della caserma “Tommaso Salsa” a Belluno, che tra il 1999 e il 2000 ospitava il 16° Reggimento alpini. Il motivo? Semplicissimo. Incontrò il sottoscritto.

LA RECLUTA. Il rampollo di casa Fiat arrivò a Belluno, precettato militare, con una borsa. All’epoca aveva 22 anni, stava concludendo i corsi all’European Business School. Giunto a Belluno (e già questo richiede uno sforzo di fantasia non da poco), come decine e decine di altri, transitò per l’infermeria per la visita medica di rito.

All’epoca il grande pubblico non associava il nome Elkann agli Agnelli. E men che mai poteva farlo un reggimento di alpini di leva. Nessuno, appunto. Tranne chi, nella vita civile, seguiva “La settimana di Indro Montanelli” su Telemontecarlo. Appuntamento serale dove Alain Elkann intervistava Indro Montanelli.

Fu questa la sfortuna di Lapo. Durante la visita lessi il suo nome sul fascicolo. Gli chiesi, interrompendo l’“interrogatorio sanitario” di Lapo con l’ufficiale medico: «Scusi, ma lei è il figlio di Alain Elkann?». Risposta affermativa. «Quindi lei è il nipote dell’avvocato Agnelli», incalzai. Altra risposta affermativa. Seguì un commento poco oxfordiano dell’ufficiale medico, traducibile in un generico ma più urbano «Ma pensa un po’».

L’UNIFORME. Inutile dire che la notizia si sparse in modo virale. Incrociavo Lapo di tanto in tanto nei piazzali della caserma. Poi di nuovo in infermeria perché durante l’addestramento formale appoggiò male un piede. Cosa da poco, intendiamoci, niente di grave.

L’uniforme gli stava larga, più o meno come le giacche del nonno che diceva indossare qualche anno fa. Mi chiamava «caporale» e mi dava del lei, come era d’obbligo per le reclute nei confronti dei superiori. Io gli davo alternativamente del “lei” e del “tu”. Chiamateli benefici del grado, se volete. Quando gli dissi, papale papale, che aveva la stessa erre moscia del nonno, si limitò a sorridere e mi offrì una Marlboro (ancora oggi non mi ricordo quante sigarette gli abbia scroccato).

IL REPARTO. Lapo a Belluno si trovò bene a ubbidire agli ordini, tra marce, cubi, addestramento e nuove amicizie.

A quanto pare, era simpatico. La gente gli stava vicino o per calcolo o per sintonia. «Bella forza», rifletté un giorno un mio commilitone originario di Mosson, «alla fine l’unica differenza sono le sue carte di credito». Amen.

Il futuro imprenditore era inquadrato nella 79ª Compagnia “I Lupi” e fece richiesta di rimanere lì per frequentare il corso per caporali istruttori. Mi disse che «stare lontano da casa fa bene. Un po’ di disciplina serve». All’epoca il reparto aveva la fama di essere «prudentemente bellicoso», una sorta di eufemismo per dire che si stava bene. O almeno bene ci stavano i veneti che rappresentavano il 90 per cento degli effettivi.

E, in ogni caso, lo spirito di corpo era tale che gli alpini del 16° si consideravano più efficienti di molti reparti della fanteria non alpina, ma molto meno di reparti alpini così detti di pronto intervento. Lo spirito di corpo contagiò anche Lapo, e la richiesta (che fu però prontamente bocciata dal Comando) di rimanere a Belluno fu la conseguenza di questa nuova, direbbe lui, way of life. Stile di vita, diciamo noi.

RITORNO A CASA. Lapo però diventò effettivo al 2° Reggimento alpini, Cuneo. Tornò a casa dopo un mese circa di permanenza a Belluno. Finì la naja (tradizione della famiglia Agnelli) e incominciò un’altra carriera. «Ha fatto comunque molto più lui così di tanti ministri della Difesa che non sono mai entrati in una caserma», commenta qualcuno.

Belluno e New York, però, per Lapo non sono mai state più lontane di quanto lo sono oggi.

Federico Murzio

Suggerimenti