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Primo Maggio

La "fame" di personale nel Vicentino tra bar e ristoranti. «Non si trova l'equilibrio»

di Giulia Armeni
La stagione estiva è vicina e sono numerosi gli esercizi pubblici alla ricerca di camerieri, baristi, cuochi, pizzaioli, lavapiatti e addetti alle pulizie.

Camerieri, baristi, cuochi. E poi pizzaioli, lavapiatti, addetti alle pulizie. Sono centinaia, anche nel Vicentino, le figure professionale della ristorazione e dell’hospitality che serviranno di qui ai prossimi mesi. Ovvero quando la stagione delle vacanze entrerà nel vivo, con l’aumento delle presenze di turisti italiani e stranieri.

A caccia di lavoratori

A livello nazionale, l’intero comparto turistico è alla ricerca di almeno 246 mila lavoratori: 172 mila di questi dovrebbero andare a sostenere il ramo ristorazione, con il grosso delle assunzioni da fare già entro aprile-maggio, secondo il Centro studi di Fipe-Confcommercio. Tra i profili più richiesti, in testa ci sono i camerieri: oltre 65 mila le caselle da riempire. Seguono i cuochi, con quasi 42 mila assunzioni previste e i baristi, con oltre 23.900 posti da coprire.

Un “puzzle” da completare non solo nelle località di villeggiatura di mare, montagna e lago ma anche - moltissimo - nelle città d’arte come lo è Vicenza. E così, in vista dell’arrivo della bella stagione e della conseguente crescita di lavoro per ristoranti, bar e locali di tutta la provincia, scatta la caccia al personale. Non che la “fame” di lavoratori del commercio fosse mai stata placata, ma con l’apertura di plateatici e giardini estivi, il bisogno di addetti è salito alle stelle. E non è un caso che, nelle ultime settimane, si assista ad un’impennata di annunci, tra offerte online o classici cartelli affissi sulle vetrine. Annunci che però spesso - a detta dei candidati - non chiariscono sufficientemente la tipologia contrattuale e, soprattutto, il compenso previsto.

Facendo una prova, nei panni dell’aspirante barista, abbiamo provato a chiedere direttamente ai titolari cosa, effettivamente, propongano al potenziale lavoratore. «Buongiorno, ho visto che cercate personale, sia barista che cameriera?», chiediamo telefonando ad un pub in provincia. «Sì, corretto, sia sala che banco». «E esattamente, che tipo di contratto fareste?», domandiamo, «A chiamata se si lavora solo nel weekend, altrimenti è “normale”», ci spiegano. Di più non si riesce a sapere, perché per altre informazioni ci invitano a passare in sede. Ma tra tanti annunci generici (“pizzeria in centro cerca con urgenza due figure per i weekend” o “ristorante-hotel cerca barista per stagione estiva”) ci sono anche quelli più dettagliati. Sui portali di recruitment più strutturati, per esempio, un posto da barista in orario “16-23, dal lunedì al venerdì” garantisce un “contratto a tempo pieno e retribuzione a partire da 1.300 euro al mese”. In aggiunta, “tredicesima e quattordicesima”.

Differenze di vedute 

Ma se il lavoro c’è e la forza lavoro pure, quello che non c’è è l’allineamento tra le richieste dei datori e le esigenze dei dipendenti. Il presidente dei ristoratori di Fipe Confcommercio Vicenza, Gianluca Baratto, lo definisce «il giusto bilanciamento tra il tempo lavorativo e la vita privata». Tradotto: i titolari vogliono una cosa, i collaboratori ne pretendono un’altra. Differenze di vedute sul trattamento economico, sull’inquadramento contrattuale, sul carico lavorativo, sulla turnazione. Con il rischio di lasciare sguarnite intere brigate in vista dell’arrivo della bella stagione.

Per Lucia Zanetello, titolare del Gran Caffè di corso Palladio, «non è che manchi l’offerta, di curricula ne riceviamo parecchi - spiega - il problema nasce quando si comincia a parlare di turni e orari e lì, spesso, perdiamo molti candidati, perché non si vuole lavorare alla sera o nei weekend, ma magari si preferirebbe fare solo il mattino e non è sempre possibile». Ci sono poi discrepanze sulle modalità di inserimento e sul concetto di “esperienza”: «Di recente è venuta da noi una ragazza che assicurava di essere molto esperta nel lavoro di barista e cameriera, le abbiamo detto che l’avremmo presa inizialmente con un contratto a chiamata, cosa che facciamo sempre e lei ha detto di no, perché voleva da subito un contratto a tempo pieno indeterminato». Tipologia che peraltro viene preferita anche dai datori, assicura Zanetello: «Da poco abbiamo assunto a tempo indeterminato un’altra ragazza, dopo un periodo a chiamata, è normale che sia così». Quanto ai compensi, «sono quelli previsti dai contratti collettivi del commercio, il nodo è a monte e cioè il fatto che un datore spende oltre duemila euro per un dipendente a cui in tasca restano 1.300-1.400 euro».

Per Sharon Rech, del Caffè dei Signori, qualcosa si è rotto nel mondo della ristorazione. «Purtroppo ci sono colpe da entrambe le parti - racconta da dietro il banco - molti ragazzi non vogliono più lavorare quando gli altri si divertono. Ma va detto che le paghe sono quelle che sono, i contratti sono sempre precari e spesso neppure ci sono». «Siamo in difficoltà - ammette Baratto - specie tra chi non ha messo in atto quella che è l’unica strategia possibile per tenersi stretta una squadra: assumere di più, prevedere maggior turnazione, ascoltare di più i bisogni dei lavoratori». «La ristorazione - conclude Baratto - non è più come una volta, i contratti ora sono seri e sicuri e chi tra i datori non fa questo si condanna da solo alla chiusura».

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