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La storia

In cella a 7 anni dal reato: «Ho pagato il mio debito, ma le carceri vanno cambiate»

di Claudia Milani Vicenzi
Un quarantenne ha raccontato la sua storia al GdV: «Il sistema non funziona: non riabilita e toglie la dignità»

Paure, emozioni, ansie e anche speranze. È uscito dal carcere da poco più di 24 ore, vuole raccontare la sua storia, far capire cosa si prova ad essere rinchiusi, spiegare cosa c’è che non va nel sistema penitenziario italiano. N.L., 40 anni, (alla redazione ha detto nome e cognome, ma abbiamo scelto di non pubblicarli per tutelare le sue figlie ancora minorenni) è un fiume in piena e la sua voce a volte s’incrina per la commozione: alcune ferite non si sono ancora rimarginate.

Sei mesi di carcere a 7 anni dal reato

Ha appena finito di scontare sei mesi al carcere di San Pio X per truffa. «Un reato che avevo commesso più di sette anni fa - spiega -. È giusto pagare quando si sbaglia, ma sette anni sono tanti. In un tempo così lungo le persone cambiano, la loro vita va avanti e di colpo, quando meno se lo aspettano, viene presentato il conto». È andata così anche a lui. «Ero al lavoro, in cantiere - racconta - quando sono arrivate le forze dell’ordine e mi hanno portato in prigione. Non ho potuto avvisare mia moglie o abbracciare le mie figlie. Con me non avevo soldi né abiti».

L'aiuto degli altri detenuti del carcere

«Per fortuna i primi giorni - racconta ancora - sono stato aiutato da altri detenuti. Mi hanno prestato della biancheria, dato un po’ di soldi». «Appena varchi le porte di un istituto di detenzione - dice ancora - è come se tu entrassi in un mondo parallelo. Ti senti completamente sfasato: non sai cosa fare e nessuno ti dà informazioni se non i tuoi compagni di cella, sempre che parlino la tua lingua». «Anche le cose più semplici, come poter fare una telefonata o ricevere visite all’inizio sembrano complesse. E infatti io ho atteso giorni e giorni prima di poter sentire mia moglie - spiega -. Ovviamente si ha diritto a telefonare: si utilizza una tessera che deve essere ricaricata. Ma appena entrati bisogna presentare richiesta, comunicare il numero che intendi chiamare, devono effettuare controlli sull’intestatario e intanto il tempo passa». «

Rivede la famiglia dopo 50 giorni

Anche per le visite all’inizio la trafila è lunga, tanto lunga - dice ancora, con frequenti interruzioni perché la voce è rotta dall’emozione -. Ho rivisto la mia famiglia dopo 50 giorni e la minore delle mie figlie, che era ancora molto piccola, non mi ha riconosciuto. Piangeva perché non voleva essere presa in braccio da me. Credo che quello sia stato il momento peggiore di tutta la detenzione. Un incubo». N.L. ha potuto godere della semi-libertà nel mese di gennaio: ogni giorno andava al lavoro e poi alla sera tornava in carcere. «Inoltre ho avuto uno sconto di pena per buona condotta - spiega -. In prigione il personale è in genere disponibile, io ho avuto modo anche di parlare con gli psicologi. Ma ci sono tante, troppe cose che non vanno. A volte non c’è il riscaldamento, se si brucia una lampadina trascorrono settimane prima che venga cambiata, i bagni hanno un sacco di problemi, ci sono vetri rotti e per non far entrare il freddo si attaccano sacchi delle immondizie con lo scotch. Ci sono più di trecento persone che trascorrono gran parte della giornata senza fare nulla, molte di loro sono in grado di svolgere un lavoro: perché non impiegarle per migliorare la situazione all’interno?».

Le accuse contro il sistema carcerario

«In carcere - conclude - ho avuto modo di pensare molto. Ho cercato di usare tutto il tempo che avevo a disposizione per riflettere sulla mia vita, sugli errori passati. Però ritengo che il sistema carcerario, così com’è attualmente, non vada bene. Dovrebbe rieducare e riabilitare ma non è in grado di farlo». Quando N.L. è uscito, dopo aver varcato per l’ultima volta i cancelli, racconta di essere scoppiato in un pianto liberatorio e di aver rivisto come in un lampo, davanti agli occhi, quei sei mesi trascorsi dietro le sbarre. Ora il suo sogno è quello di fondare un’associazione che possa aiutare chi entra in carcere e che, com’è accaduto a lui, si sente crollare il mondo addosso. «Perché è giusto pagare, ma non perdere la propria dignità». 

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