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La testimonianza

La vita in trincea del soldato ucraino Orest. «I nostri figli devono essere liberi»

di Roberta Labruna
Il soldato Bardeha è capitano dell’esercito. Sua moglie, i figlioletti e la madre vivono a Vicenza. «Ci aspettavamo un’invasione, ma non tale violenza. Resistiamo»
Orest Bardeha, con la divisa dell’esercito ucraino, vicino alla bandiera del suo Paese
Orest Bardeha, con la divisa dell’esercito ucraino, vicino alla bandiera del suo Paese
Orest Bardeha, con la divisa dell’esercito ucraino, vicino alla bandiera del suo Paese
Orest Bardeha, con la divisa dell’esercito ucraino, vicino alla bandiera del suo Paese

Un lavoro da militare di carriera, cominciato quando aveva 20 anni, un amore grande che si riflette negli occhi azzurrissimi di sua moglie Olga, un bimbetto, Mark, che sgambetta allegro per casa, a Leopoli. Tutto questo fino a un giorno d’inverno che gela presente e futuro. La vita di Orest Bardeha ha un prima e un dopo. Prima del 24 febbraio 2022 e dopo questa maledetta data quando la Russia ha invaso l’Ucraina. A chi vive comodamente e al sicuro nella parte giusta della placida Europa è richiesto uno sforzo di immaginazione per provare davvero a mettersi nei suoi panni cercando di capire cosa significa, d’un tratto, ritrovarsi con l’apocalisse in casa.

Guerra in Ucraina, la testimonianza del capitano Orest

L’appuntamento con Orest, 30 anni, capitano di artiglieria della 24esima brigata, è in un bar di piazza dei Signori dove la comunità ucraina di Vicenza lo aspetta. Riconoscerlo, tra le persone che vanno e vengono per l’aperitivo in un pomeriggio di maggio dal clima estivo, non è difficile. Arriva in divisa. Una seconda pelle che, orgogliosamente, si porta addosso insieme a un sorriso buono che la guerra non è riuscita a indurire. L’occhio cade sulle tre medaglie appuntate.

Il soldato in licenza, membro della comunità ucraina di Vicenza

Quella rossa, l’ultima, cosa rappresenta? Ecco, quella, indica la più alta onorificenza per un soldato. Se l’è guadagnata per un’operazione sul campo, una cruciale controffensiva nella regione di Kherson: «Abbiamo liberato la riva destra del fiume Dnipro dai russi, ricacciandoli dalla parte sinistra». Lui adesso è in permesso per un paio di settimane, qui a Vicenza c’è sua madre Nada, traduttrice, parla un perfetto italiano. Qui, da quando la guerra è scoppiata, vivono anche sua moglie e la famiglia di lei che è originaria di Mariupol. Qui, pochi giorni fa, ha riabbracciato dopo un anno e mezzo il suo bimbo che di anni ne ha 5. È anche per lui che combatte. «Un nostro vecchio comandante diceva “lotto perché mio figlio non debba far parte delle forze militari russe”, anche per me è così». Il bene contro il male. La voglia di libertà di un popolo contro l’aggressione criminale di un dittatore. 

A Vicenza vive la moglie, i figlioletti e la mamma del soldato ucraino

E allora torniamo a quel 24 febbraio. «Ci aspettavamo l’invasione di Putin? Sì, dal 2014 noi vivevamo in allerta, con una guerra strisciante, sull’Ucraina orientale la Russia già lanciava missili. L’intelligence ci aveva avvisato del possibile pericolo di un’invasione, ciò che però non ci aspettavamo era una escalation del conflitto di questo tipo, un attacco così ampio e potente, su larga scala. Subito, il primo giorno della guerra abbiamo saputo dei carri armati a Kiev e Mariupol, dei missili che colpivano le città». 

In guerra «c’è un pericolo di vita costante»

Provare a raccontare la guerra a chi non la conosce: «È come vivere in un film 3D, è difficile da spiegare, ciò che si prova non è paragonabile a nessuna altra emozione, c’è un pericolo di vita costante, si convive con il sentirsi ogni minuto in pericolo. Si ricorda quando una volta i genitori per insegnare ai figli a nuotare li buttavano in acqua? Quella sensazione della serie nuoti o anneghi. È la stessa cosa, solo che in guerra non ci sono il papà o la mamma lì pronti a riprenderti».

Le case distrutte, le scuole bombardate, i civili uccisi

I segni della guerra che passano davanti agli occhi: le case distrutte, le scuole bombardate, i civili uccisi, come «quelle cinquanta persone ammazzate, i corpicini di tanti bambini, nella stazione di Kramatorsk. Stavano aspettando il treno per andarsene, per mettersi in salvo, un missile russo li uccisi tutti». Domanda a bruciapelo: ci si abitua ai morti? Orest fa una pausa, poi risponde: «In un certo senso purtroppo sì, devi farlo, devi mettere uno scudo tra te e quello che vedi, devi farlo per proteggerti». Non è cinismo, è necessità, per non soccombere. Perché soccombere non è un’opzione: «Hitler ha annesso la Repubblica Ceca e hanno taciuto tutti, lui ha preso coraggio e il resto lo sappiamo. Putin ha fatto lo stesso con la Georgia, glielo hanno lasciato fare ed è andato avanti. Un domani, se lo lasciamo fare in Ucraina, passerà alle repubbliche baltiche, alla Polonia, alla Moldova».

«Siamo immensamente grati all’Occidente, Italia compresa»

Putin pensava di papparsi l’Ucraina in un sol boccone, pochi giorni e via a pianificare la prossima minaccia. E invece no. Anche se nelle ultime settimane le cose non sono andate bene al fronte: «Con le risorse disponibili abbiamo fatto difesa attiva: significa che teniamo le posizioni e se i russi arretrano facciamo il massimo danno». Servono armi, servono scudi antiaerei. Adesso finalmente una parte sono arrivati e altri stanno per arrivare. L’Occidente fa abbastanza? «Siamo immensamente grati all’Occidente, Italia compresa, per gli aiuti che ci mandano, il problema è che arrivano piano». Intanto le persone muoiono. Mentre da noi, in questo mondo al rovescio, c’è chi sta dalla parte di Putin e invoca bandiera bianca per l’Ucraina. È la propaganda russa che si insinua e attecchisce soprattutto in Italia. Cosa c’è dietro la propaganda russa? «Money». 

«Perché combattiamo? per il futuro dei nostri figli»

«Perché combattiamo? Per riprenderci il nostro territorio, per il futuro dei nostri figli, per la nostra libertà». E per quella di tutti perché se cade Kyiv, tempi bui si prospettando per l’Europa. L’Ucraina può vincere questa guerra? «Al 100 per cento». E sulla bandiera blu e gialla poggiata sul tavolino, una scritta a penna, sì quella: Slava Ukraini. 

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