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La storia

In missione tra gli orfani. I volontari vicentini in Ucraina

di Marco Scorzato
Roberto Maculan, di Missionland, è in Ucraina con viveri, farmaci e gruppi elettrogeni. Stavolta li consegna anche a tre istituti per minori, per Sos Bambino

«Dobbiamo esserci, ora. È adesso, in pieno inverno col termometro a meno 20, con le centrali elettriche ko, con i mariti in guerra e le donne i vecchi e i disabili e i bambini che sbucano dalle cantine nelle città deserte, che gli aiuti servono più che mai. Dovevamo tornare qui, c’è assoluto bisogno». Non è una scelta: per lui è un dovere. Irrinunciabile, irrimandabile, più forte della fatica. E dei rischi. Lui è Roberto Maculan, ha 65 anni e in queste ore è nel gelo dell’Ucraina bombardata dai russi, con un carico di aiuti umanitari. Dall’inizio della guerra è il nono viaggio di Missionland, la onlus di Carrè di cui è l’anima.

Maculan, missionario per vocazione

“Nato” impresario edile, è diventato “missionario”. Per vocazione, come tutti i missionari. Alla sua età, dopo «il Togo, la Sierra Leone in piena epidemia di ebola, le isole greche di Samos e Lesbo straripanti di profughi», e altri angoli martoriati del pianeta, trova ancora l’energia per partire. «Una volta che vai, e vedi e senti e tocchi con mano, non puoi che rifarlo. È così che riparto ogni volta con la passione della prima, 33 anni fa».
Lo ha fatto di nuovo, sabato 18 febbraio. Missione Ucraina. Al volante di un fuoristrada con tre amici triestini, un rimorchio carico di «viveri, farmaci e soprattutto batterie e gruppi elettrogeni», Maculan è diretto a Kharkiv. Ci è già andato, a gennaio, spingendosi poi in un villaggio periferico fino a 3 chilometri dal fronte di guerra. Un viaggio tra i più poveri e i disperati, «i checkpoint da attraversare, le città deserte, i fiumi completamente ghiacciati, i caccia militari che attraversavano il cielo sopra di noi, e chissà se erano aerei ucraini o russi».

Missionland e Sos Bambino, aiuti in sinergia all'Ucraina

Ora ci torna «perché qui l’emergenza non ha fine». E stavolta la missione è doppia, stavolta le mani di Missionland si stringono a quelle di Sos Bambino, e il convoglio farà tappa anche a Vinytza, dove l’associazione di Vicenza che si occupa di minori sostiene tre istituti per bambini orfani e uno per bambini orfani e cerebrolesi. Lì saranno consegnati due generatori - comprati da Sos Bambino con l’aiuto della Fis di Montecchio Maggiore e di tanti donatori - oltre che alimenti, vestiario, cuscini. I fili della solidarietà hanno spesso il potere d’intrecciarsi, di aprire strade inedite, di far superare ostacoli che sembravano insormontabili. Lo spiega bene Egles Bozzo, presidente di Sos Bambino. «I generatori servono per la luce, per il riscaldamento e per cucinare i pasti per i bambini. La richiesta ci era stata fatta a Natale ma purtroppo finora non eravamo riusciti a concretizzare questo viaggio con i nostri volontari o trasportatori. Per tutti è troppo pericoloso andare nelle zone di guerra e non è solo una questione di costi, elevatissimi, ma di sicurezza». Poi è successo qualcosa. «Tramite le cronache del Giornale di Vicenza - riprende Bozzo - abbiamo incontrato Roberto Maculan e la signora Bea di Missionland, e tra noi è subito nata una grande intesa come accade sempre quando si parla tra persone pratiche e si va al sodo».

Venti quintali di materiale da consegnare

Il “sodo” è un rimorchio con 20 quintali di materiale da consegnare, tremila chilometri da macinare, confini da attraversare. Documenti e lasciapassare. «Un viaggio così va preparato nei dettagli - spiega Maculan - ma ora abbiamo una certa esperienza. Pericoli? Ce ne sono, ma cerchiamo di essere accorti». I checkpoint sono sempre un’insidia. «Bisogna avvicinarsi piano, pianissimo, non sai mai come viene interpretato un tuo movimento. Ai checkpoint, sui blocchi di cemento svettano sagome umane con il fucile, poi ti avvicini e scopri che sono dei manichini», tipo spaventapasseri, ma qui è la guerra non la campagna. I rischi, la fatica, il gelo, le incognite. Però poi c’è quella molla che scatta e ti spinge avanti, spiega Maculan.

A Kharkiv una città deserta

Si chiama umanità. «A gennaio, quando siamo arrivati a Kharkiv abbiamo visto una città deserta, come sospesa: alcuni palazzi bombardati, nessuno in giro, negozi e ristoranti e teatri chiusi, spesso con le tavole in legno a coprire i buchi delle vetrine sfondate dalle esplosioni. I monumenti “impacchettati” con i sacchi di sabbia per essere protetti. Sono le donne, spesso, a occuparsi di questo, così come le vedi in giro, a 15 gradi sotto zero, a pulire le strade, a svuotare i cestini e cambiare i sacchi della spazzatura. E ti chiedi: “perché?”. Poi ti rendi conto che quella è la loro città, è casa loro, e uno a casa sua si preoccupa di tenere in ordine».

La vita si difende rifugiandosi sotto terra

Segnali di vita e di futuro quando entrambi sono appesi a un filo labile. «La vita si difende rifugiandosi sottoterra - racconta Maculan - Quando arriviamo con il nostro carico, dalle cantine diventate “case” escono donne, vecchi, disabili, qualche bambino: le persone rimaste». Molti uomini sono al fronte, intere famiglie sono scappate in altre città dell’Ucraina o in Europa. «Mi colpisce ogni volta la dignità di chi viene a prendersi la borsa di viveri o farmaci. E poi ti abbraccia e non importa se non parliamo la stessa lingua».

Sotto assedio si spengono anche le stufe per non farsi individuare

Vivere sottoterra è la condizione dei civili in questa guerra. Ma stare sotto non basta se da là spuntano zaffate di fumo. «Quando i russi vedono il fumo sanno che ci sono le persone, e sparano - spiega Maculan - Quindi se c’è un assedio, nelle cantine spengono anche le stufe e stanno al gelo. Anche per questo servono i gruppi elettrogeni che portiamo».
Nulla di scontato Questa volta, come detto, c’è una missione nella missione, e riguarda gli orfani. Roberto Maculan - che nel primo viaggio in Ucraina a marzo 2022 aveva trasferito un bambino affetto da malformazioni al policlinico di Milano - incontrerà in queste ore i volontari di Sos Bambino in Ucraina. La missione farà diverse tappe che per motivi di sicurezza saranno comunicate alla fine. «Sono i nostri volontari ucraini che ci informano ogni giorno su quanto accade ai bambini - riprende Egles Bozzo - di quando suona l’allarme e devono correre al buio nella stanza rifugio sotterranea o di quando doveva arrivare la luce ma non arriva e si deve stare al buio o di quando si deve cucinare all’aperto con la legna raccolta. E poi l’acqua troppo fredda per poter fare una doccia e tante altre cose che noi diamo per scontate ma che non lo sono più».

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