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THIENE

La palazzina è troppo alta. La condanna arriva vent’anni dopo

Un’impresa edile dovrà risarcire una famiglia con 50 mila euro per il danno di «riduzione d’aria, luce e panoramicità»
Contra’ Belvigo: uno dei punti della querelle riguardava le distanze STELLA
Contra’ Belvigo: uno dei punti della querelle riguardava le distanze STELLA
Contra’ Belvigo: uno dei punti della querelle riguardava le distanze STELLA
Contra’ Belvigo: uno dei punti della querelle riguardava le distanze STELLA

Nel 1956 i carri armati russi invadono l’Ungheria, mentre Mike Bongiorno conduce “Lascia o raddoppia?” e nell’Atlantico affonda l’Andrea Doria con 48 vittime. In quello stesso anno, davanti al notaio Cesare Rossi di Thiene veniva redatto un atto che sanciva la servitù di passaggio su una stradina privata, laterale di via Bassani, che consentiva ad alcune famiglie di accedere a casa loro. Quell’atto è diventato punto centrale di una causa discussa 68 anni dopo in Cassazione, che ha visto due sorelle e la madre battere un’impresa edile condannata in via definitiva ora a risarcirle con 50 mila euro, per aver violato accordi del 2001-2003. I tempi della giustizia.

Il Piano Belvigo

In quegli anni il consiglio comunale thienese approvò il Piano particolareggiato Belvigo - lo stesso dove sorse la sede della compagnia aerea Volare - sulla scorta del quale vennero rilasciate diverse concessioni edilizie, successivamente aggiornate con alcune varianti. Le sorelle Vania e Miriam Grendene, con la madre Italia Spedo, avevano lì delle proprietà, una villa, e raggiungevano il garage dalla stradina privata. Davanti a loro la ditta “Munaretto Manlio srl” costruì, su terreni di sua proprietà, in virtù delle concessioni, due edifici. Su uno dei palazzi si sono concentrati gli strali giuridici della famiglia Grendene, tutelata dall’avv. Federica Scafarelli, che hanno sostenuto in tribunale come fosse stato costruito con un’altezza superiore a quella consentita dalla normativa locale e in violazione delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico attuativo: 4 piani più sottotetto, per 15 metri, contro 3 piani più sottotetto (12 metri). Non solo: ritenevano che fosse stata ridotta a causa della nuova costruzione la loro servitù di passaggio, e chiedevano in tutto un milione di euro di danni. Il tribunale di Vicenza diede (in parte) ragione alla famiglia, condannato la “Munaretto” a pagare loro 50 mila euro per il danno «per la riduzione di aria, luce, panoramicità e amenità dei luoghi», oltre al ripristino «dei luoghi sui quali la servitù di passaggio veniva esercitata», cioè la stradina.

Le sentenze

L’impresa edile, assistita dall’avv. Mario Calgaro, ha proposto prima ricorso in Appello e poi in Cassazione. La difesa ha sostenuto che «le indicazioni grafiche contenute nelle tavole planovolumetriche del Piano Belvigo» prevedessero i 15 metri di altezza, un’indicazione venuta meno con le norme tecniche di attuazione, che arrivavano fino a 12, e che vennero poi approvate dalla Regione. Per i giudici, nonostante le indicazioni del Comune fossero «in contrasto fra loro», prevalgono le norme tecniche, e quindi i 12 metri.

«Le concessioni edilizie - scrive la seconda sezione civile della Suprema corte, presieduta da Mocci - vengono rilasciate dal Comune facendo salvi i diritti dei terzi», in questo caso la famiglia di vicini, ad avere di fronte uno stabile alto come da norma e con una stradina libera da servitù su cui poter transitare. Di qui la sentenza: il ricorso di “Munaretto” è stato infatti respinto con la condanna a pagare le spese. Una ventina di anni dopo aver concluso il cantiere, quasi 70 dagli originari accordi.

Diego Neri Alessandra Dall'Igna

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