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Il dramma

Gli fu perforato l’intestino. È risarcito con 300 mila euro

La terribile vicenda di un manutentore di Schio vittima di un errore durante una visita
Nella sua odissea, lo scledense ha subito 5 interventi chirurgici in pochi mesi (Foto Archivio)
Nella sua odissea, lo scledense ha subito 5 interventi chirurgici in pochi mesi (Foto Archivio)
Nella sua odissea, lo scledense ha subito 5 interventi chirurgici in pochi mesi (Foto Archivio)
Nella sua odissea, lo scledense ha subito 5 interventi chirurgici in pochi mesi (Foto Archivio)

Cinque interventi chirurgici, dieci ricoveri e una vita segnata. È il dramma vissuto da un manutentore di 62 anni, residente a Schio, che 10 anni dopo quel dramma ha ottenuto ragione in tribunale. Il giudice Pesenti ha infatti condannato, con un’ordinanza (nell’ambito del processo di cognizione), l’Ulss 7 Pedemontana (manlevata dall’assicurazione romena Lig insurance) e l’Azienda ospedaliera di Padova a risarcirgli poco più di 300 mila euro, poiché sono state ritenute responsabili (nella misura del 75 per cento l’ospedale di Santorso e del 25 la clinica universitaria) dei danni provocati e dei disagi patiti dal paziente. Il vicentino, tutelato dall’avv. Gaddo Cecovini per conto di Giesse risarcimento, aveva chiesto una somma più alta ma per il tribunale non ha dimostrato tutti i danni che lamentava.

Il dramma iniziato il 9 maggio 2013

F.F. (del quale pubblichiamo le iniziali per la privacy sanitaria) accusò un forte dolore addominale e si recò all’ospedale Alto Vicentino; fu ricoverato per una sospetta diverticolite e dimesso qualche giorno dopo. Qualche giorno dopo nuovi dolori, nuovo ricovero e l’indicazione di effettuare una colonscopia, a cui fu sottoposto in agosto. Subito dopo si sentì male: gli era stato perforato l’intestino e da lì iniziò l’odissea dello scledense.

Infiammazioni, peritoniti, infezioni continue

I consulenti tecnici d’ufficio nominati dal giudice, i dott. Luca Pieraccini e Domenico Garcea, hanno evidenziato una serie di responsabilità da parte della struttura nella fase successiva al primo intervento, che non era stato in grado di ricucire in maniera completa e stabile la perforazione. Un anno dopo, nel 2014, per un ulteriore intervento, F. F. decise di rivolgersi alla clinica padovana, «sfiduciato dai sanitari» che lo avevano curato fino a quel momento. Ma anche lì, a causa probabilmente del fatto che il suo caso, molto complesso, non venne studiato adeguatamente, furono commessi a parere del tribunale degli errori che compromisero ancor più la precaria situazione del paziente che oggi, dopo essere andato in pensione anticipata, è costretto a vivere con una sacca attaccata al corpo dove confluiscono le sue feci, che deve svuotare e ripulire più volte al giorno. Una circostanza che gli vieta di condurre una vita di relazione normale per una persona della sua età.

I due ospedali

I due ospedali (assistiti dagli avv. Andrea Conselvan, Luciana Puppin e Ludovica Romano) hanno sempre sostenuto di avere agito con correttezza, rispettando le linee guida, nell’esclusivo interesse del paziente, e di essere quindi esenti da responsabilità. Ma per il tribunale e i suoi periti invece in alcuni passaggi della delicata e complessa vicenda del manutentore sarebbero state necessarie scelte diverse, ad esempio «uno studio preoperatorio più accurato che indagasse tutte le variabili indotte dal precedente lungo periodo di contaminazione settica» per quanto riguarda Padova; per Santorso, invece, i medici avrebbero dovuto compiere delle scelte diverse che «avrebbero con altissima probabilità evitato l’evoluzione e le conseguenze che ne sono derivate».

In particolare, la decisione del 2015 di compiere una colonstomia definitiva, cioè l’apertura artificiale dell’intestino per deviare il flusso delle feci verso l’esterno: la sacca con la quale lo scledense deve convivere. 

Le responsabilità delle strutture, per il giudice, sono state tali che entrambe sono state condannate a risarcire il paziente, ognuna per la sua parte. 

 

 

Diego Neri / Rubina Tognazzi

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