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CALDOGNO

La staffetta partigiana compie 100 anni. «In bicicletta sotto le bombe e in casa il comando delle SS»

Sira Massignani è originaria di Castelgomberto, poi si trasferì a Caldogno e infine a Villafranca dove vive tuttora
Sira Massignani lunedì ha festeggiato il compleanno con figli, nipoti e pronipoti PECORA
Sira Massignani lunedì ha festeggiato il compleanno con figli, nipoti e pronipoti PECORA
Sira Massignani lunedì ha festeggiato il compleanno con figli, nipoti e pronipoti PECORA
Sira Massignani lunedì ha festeggiato il compleanno con figli, nipoti e pronipoti PECORA

Sui ricordi della guerra vorrebbe tirare una riga, ma gli occhi tornano sempre là, a quei dieci chilometri di strada che percorreva ogni giorno in bicicletta da Caldogno a Vicenza, dove lavorava all’ufficio delle imposte. Giovane e gracile, correva come una forsennata nel buio, prima dell’alba, per paura dei bombardamenti: «La strada era parallela all’aeroporto bersagliato dagli aerei americani», racconta Sira Massignani che lunedì, nella sua villetta a Villafranca, ha compiuto 100 anni.

Festeggiata dai figli Giorgio e Flavio e da nipoti e pronipoti. Non c’era il suo Bruno, il soldato di Valeggio sul MIncio coetaneo che conobbe ai seggi del referendum del ’46, dove era stato richiamato di guardia mentre gli italiani sceglievano tra repubblica e monarchia: Bruno Foroni, che sposò nel 1948 e col quale ha vissuto a Villafranca dove lei si trasferì da impiegata all’agenzia delle entrate, è morto nel 2018.

Una storia lunga cent'anni

Oggi scorrono cento anni di storia negli occhi di Sira, staffetta, croce al merito di guerra come «partigiana combattente» della brigata Silva, della divisione Vicenza, della quale è l’unica superstite. «Ma non mi metta sotto i riflettori sa. Di quei giorni si può solo piangere: penso alla vita che ho passato, a quei dieci chilometri che attraversavo tutti i giorni sotto le bombe, alla casa sempre bersagliata, ai morti. La guerra è un non vivere», dice guardando al conflitto in Ucraina che definisce «un’altra catastrofe». «Mi chiedo perché non si possa andare avanti senza guerre. Quando nel ’45 finì il conflitto abbiamo pianto - racconta -. Non si poteva far altro con tutti i pericoli e i morti che c’erano stati». 

In bici con il lasciapassare

Sira nasce il primo aprile 1924 a Castelgomberto, unica figlia femmina di Giobatta Massignani, letterato e segretario comunale, e Angela Faccin, ostetrica, con i quali, per il lavoro del padre, si trasferisce a Caldogno nel 1929. Ha tre fratelli e studia al ginnasio quando la guerra irrompe. Ma la sua storia inizia l’8 settembre 1943. Il fratello maggiore, Dorino, è un soldato alla caserma Ederle che rischia la deportazione. I tedeschi hanno radunato i militari italiani avviandoli in marcia. Sira e la fidanzata di Dorino, Graziana Camporeale, figlia del farmacista del paese, seguono il lungo cordone attendendo il momento propizio per farlo sfilare dalla colonna: chi fugge viene inseguito e fucilato. Il giovane si smarca, si nasconde in un fosso, viene aiutato e poi si unisce alla brigata Silva, di matrice cattolica, formata da ragazzi riuniti dal professore Nicoletti. 

Sira diventa staffetta partigiana

Per aiutare il fratello, Sira diventa staffetta: è impiegata all’ufficio delle imposte e ha un lasciapassare con il quale fa la spola in bicicletta portando da Vicenza a Caldogno ordini, medicinali (per il farmacista che aiuta la brigata) e informazioni, anche sui movimenti delle SS che vivono sotto casa sua. Lo fa in pieno pericolo: gli americani bombardano di continuo l’aeroporto, mentre i tedeschi hanno requisito le aule della scuola elementare sopra la quale abita con la sua famiglia. «Il pericolo c’era sempre. Dovevo fare quella strada in bici per andare al lavoro. Un giorno dovevo attraversare un ponte e un caccia americano mi passò a raso sulla testa. Forse ha avuto pietà di me, era così vicino che ci siamo guardati». L’aereo la risparmia. 

I giorni della guerra

Sira non ama parlarne, ma ha scritto di quei giorni di faide, rastrellamenti e vendette; della pericolosa convivenza con le SS, della rabbia dei tedeschi in ritirata («Non si accontentavano di fuggire, entravano nelle case, rubavano e uccidevano») e dei bombardamenti, come quello del 17 novembre ’44: «Su due chilometri di strada fu una strage, 500 morti. Al cielo sereno prese il sopravvento il buio. Il fumo aveva oscurato il sole, mi trovai senza bici con il cappotto bucherellato dalle schegge, nera in volto, camminavo come un automa». 

Maria Vittoria Adami

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