<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
La storia

Il Natale in Amazzonia tra le tribù indios. Qui suor Rosy ha fatto nascere più di 5mila bimbi

Suor Rosy Lapo, originaria di Longare dove risiede la sua famiglia, vive al confine tra Brasile e Colombia tra quattro tribù indigene
Suor Rosy vive al confine tra Brasile e Colombia tra quattro tribù indigene
Suor Rosy vive al confine tra Brasile e Colombia tra quattro tribù indigene
Suor Rosy Lapo in Amazzonia

Un Natale tropicale a 39 gradi con il 90 per cento di umidità. È quello che la 75enne suor Rosy Lapo vive da 45 anni nel cuore dell'Amazzonia, nell'Alto Rio Negro, nella missione di Assunsion, sul confine tra Brasile e Colombia, tra le tribù Baniwa, Barè, Coricapo, Cubeu. La telefonata arriva nel cuore della notte italiana, quando in Brasile sono le nove di sera e suor Rosy ha tempo per avere l'elettricità erogata per due ore al giorno dal generatore della missione.

Dal telefono si sente lo scrosciare della pioggia nel cuore della grande foresta madre: «Da noi è la stagione delle piogge - racconta la salesiana delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nativa di Longare dove risiede la sua grande famiglia, con un altro fratello prete sempre in Brasile - E se per voi è il bianco Natale, qui siamo sotto la pioggia stagionale. Se da voi Gesù bambino è al freddo e al gelo, qui suderebbe dal caldo».

«Sono contenta perché a Natale è arrivato un prete per la celebrazione della festa. Quello che avevamo fino a un mese fa se n'è andato, perché la vita in foresta è troppo dura. Così abbiamo chiesto al vescovo di mandarci un sacerdote per Natale. È arrivato la Vigilia, dopo un lungo viaggio fluviale durato svariate ore. Qui i fiumi sono le vostre autostrade, e per arrivare alla città più vicina, dobbiamo navigare per tre giorni coprendo gli 800 chilometri che ci separano dalla missione».

Un nuovo mondo, lontanissimo dal nostro, quello descritto dalla madre salesiana, che è anche una "grande madre", considerando che da ostetrica tuttofare ha fatto nascere più di cinquemila bambini indios: «Un numero sottostimato», incalza lei con una squillante risata.

L'Amazzonia da anni è ormai il suo mondo: «Ormai, sono un'india anche io nel profondo. Non tornerei indietro, qui il Natale è più genuino e vivo che in Italia. Più semplice e naturale, dove le persone hanno ancora "fame di Dio"». «Dobbiamo fare presto, perché sta per scadere il tempo del generatore...», aggiunge la suora.

Il tempo necessario per farci raccontare com'è stato il giorno di Natale in foresta: «Una triplice festa, visto che abbiamo celebrato due battesimi e un matrimonio, oltre alla nascita di Gesù. Dobbiamo recuperare quello che ci manca, ecco perché quando arriva un prete concentriamo più cose in un'unica funzione».

Così dalle cinque tribù periferiche, sulle 75 presenti nell'ampio territorio forestale, qui sono arrivati via acqua e terra trecento indios, carichi di regali che equivalgono a frutta, manioca, verdura, riso e fagioli, incluso il maiale per la festa. «L'indios non ha il concetto moderno del regalo. Tutto qua viene condiviso sotto un unica capanna centrale, dove si è svolta anche la festa di Natale. Per noi è come se fosse Natale ogni giorno nel segno della condivisione, con una semplicità che gli italiani sembrano aver perso da molti anni».

Niente Babbo Natale, dunque, per i bambini? «Non sanno chi sia. C'è madre foresta che gli regala i doni per la vita». «Allestiamo però il presepio, retaggio coloniale, che loro fanno con statuine di terracotta prodotte artigianalmente, tanto che il giorno della vigilia un bambino giocando con l'amaca dove giaceva il bambinello di terracotta nel presepio in chiesa, l'ha fatto cadere, rompendolo. Fortuna che l'altra mia consorella ne aveva uno messo da parte, altrimenti saremmo rimasti senza Gesù bambino. Poco importa, perché Gesù nasce nei cuori».

Missionarie tutto fare, che si adattano in un modo che si fatica a immaginare. A partire dal bagno che le suore fanno nel fiume, con bambini e anziani: «Sapeste quanto bello e liberatorio è lavarsi al fiume - aggiunge suor Rosy - Qui si perdono molte delle frustrazioni che ci rivestono quando si arriva nella civiltà del cosiddetto Primo mondo. Ci si sente nella natura e con la natura». «Impari a fare di tutto, al punto che rivestiamo i panni del prete quando lui non c'è, per la celebrazione della Parola. Diventiamo infermiere e maestre. Costruiamo muri o aiutiamo a cucinare. Siamo un punto di riferimento». «La nostra missione è prenderci cura di chi ha bisogno -conclude - Per noi non è una novità, ma la quotidianità, che a distanza di anni continua a piacermi».

Antonio Gregolin

Suggerimenti