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MONTICELLO CONTE OTTO

Meteo pazzo e costi. «Fare i contadini è un rischio, ultimo tentativo e poi stop»

Claudio Barausse ha accantonato la laurea per lavorare i campi, 12 anni fa. «Rincari e grandine killer, se succede ancora mollo tutto»
Claudio e la moglie Elisabetta. Hanno due bimbi e gestiscono assieme l’attività
Claudio e la moglie Elisabetta. Hanno due bimbi e gestiscono assieme l’attività
Claudio e la moglie Elisabetta. Hanno due bimbi e gestiscono assieme l’attività
Claudio e la moglie Elisabetta. Hanno due bimbi e gestiscono assieme l’attività

Un trattore per scrivania. E un campo di patate per ufficio. Dove le scadenze sono stabilite dalla stagionalità e i problemi, più che dal datore di lavoro o dai colleghi, sono dati da tempeste, vento e grandine. Una natura che però, nell’ultimo periodo, è sempre più violenta e imprevedibile, anche agli occhi di chi ha scelto di “vivere in campagna”. «Questo è l’ultimo anno, se capita un’altra grandinata come la scorsa estate sarò costretto a chiudere tutto e a cercare un altro lavoro, purtroppo gestire un’azienda agricola sta diventando sempre più difficile ed economicamente insostenibile».

Una laurea in tasca

Claudio Barausse, 41 anni, da 12 ha appeso la laurea da educatore professionale al chiodo, per indossare stivali di gomma e cappello di paglia. Ciò che gli serve per dissodare, piantare, curare le verdure e i prodotti agricoli che crescono nei campi della sua azienda agricola “Vigardoletto”. Dodici ettari tra Vigardolo e Monticello Conte Otto, «quattro adibiti ad orto e il resto a cereali, dal mais Marano al mangime per le galline». Un modo per portare avanti la tradizione contadina della sua famiglia e per seguire il richiamo della campagna assieme alla moglie Elisabetta, che gestisce la fattoria didattica “Hortus in Lab” ed è presente anche al punto vendita dell’azienda.

Con loro, quasi sempre, ci sono anche i figlioletti Pietro e Gabriele

«Dopo la laurea, nel 2012, mi sono reso conto che avrei salvato più persone producendo cose buone, invece che lavorare in ambito sanitario», scherza Claudio. Che però, negli ultimi mesi, si è reso conto della precarietà del mestiere della terra. «Fare gli ordini di piantine al vivaio sta diventando come giocare al lotto», sospira. Dopo la grandinata dello scorso luglio («abbiamo vissuto un lutto, è andato distrutto tutto») si cerca di selezionare solo ciò che può essere protetto, dai chicchi di ghiaccio e dalle intemperie. «Per esempio pomodoro da sugo, patate, meloni, zucche e angurie, mentre la lattuga la stiamo abbandonando, perché alla prima tempesta si danneggia».

Poi bisogna anche incontrare i gusti della clientela

«La carota bianca De.co, prodotto antico che avevamo provato a rilanciare qualche anno fa, non è stata capita e per noi non era conveniente proseguire, per cui non la coltiviamo più». I bastoni tra le ruote li mette anche il mercato globale: «Qualche mese fa ci siamo trovati con una grande quantità di patate in magazzino, avevamo bisogno di venderle per poter acquistare quelle nuove da seminare, i cui costi peraltro sono aumentati moltissimo e per questo abbiamo lanciato un appello social, a cui per fortuna hanno risposto in tantissimi».

I costi e le assicurazioni

E poi c’è da fare i conti con i rincari delle materie prime e dell’energia e con quella che Barausse definisce «una situazione tragicomica», ossia l’impossibilità di assicurarsi contro la grandine. «Dopo la grandinata della scorsa estate l’agenzia di assicurazioni ci ha detto che, rientrando tra i comuni grandigeni, non possiamo più essere assicurati». Di qui la scelta di virare su attività e prodotti più facili da proteggere, come le uova. «Noi teniamo duro, ma davvero questo è l’ultimo anno: se dovessero capitare altre calamità naturali, me lo sono promesso, vendo anche le attrezzature e mi cerco un altro lavoro».

Giulia Armeni

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