<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Arzignano

Vajont, parla con la guida: è il bambino che aveva salvato dal fango

Era l'ottobre del 1963, l’alpino Feliciano Antoniazzi prestò soccorso al piccolo di 10 anni. «Quella notte fu terribile Ora l’abbraccio»

Il rumore, l’onda di fango, il morso della morte. I ricordi di un bambino di 10 anni sopravvissuto per miracolo al disastro del Vajont, 60 anni fa, rimasti come uno stigma indelebile. Quasi 2 mila le vittime, di cui 487 con meno di 15 anni. Erano le 22.39 del 9 ottobre 1963.

Dopo sessant’anni quel bambino, Gino Mazzorana, ritrova per caso chi lo salvò in quella terribile notte. Si tratta di Feliciano Antoniazzi, penna nera di Arzignano, all’epoca ventunenne, militare del genio a naia, tra i primi a giungere sul posto appena avvenuta la catastrofe.

Antoniazzi e Mazzorana si reincontrano dopo 60 anni

Dopo tanti anni, Feliciano ha scoperto l’identità di quel bambino che aveva trovato nel fango, salvato assieme ai commilitoni. L’avevano estratto dalle macerie, quella notte. L’emozione è stata incontenibile, vedendo in carne ed ossa quella persona che oggi ha 70 anni. Ha rivisto gli occhi di quel bambino, Gino, che vive tutt’ora a Longarone.

Parla con la guida: è il bambino che salvò dal fango

«Ci siamo trovati per caso» racconta Feliciano Antoniazzi. «Ogni quattro o cinque anni torno al Vajont dove ho partecipato alle operazioni di soccorso. Come altre volte, ho visitato il cimitero di Fortogna ed il museo. Parlando con la guida, un signore sulla settantina, ho raccontato di aver salvato un bambino intrappolato nelle macerie. È stato lì che mi ha detto che quel bambino era proprio lui. Il racconto, la posizione, i dettagli, coincidevano. “Quel bambino ero io”, mi ha detto».

Mazzorana, uno dei pochi bimbi sopravvissuti

Gino Mazzorana è uno dei pochi bimbi usciti da quell’apocalisse. Oggi fa parte del “Comitato sopravvissuti Vajont”. La sera del 9 ottobre 1963 era a letto con il fratello minore, di tre anni. D’improvviso un rumore assordante, la casa trema. Il tempo di gridare «mamma, aiuto», poi la distesa di fango e silenzio. Venne ritrovato sotto a macerie, bloccato da una trave, a cento metri dall’abitazione. Aveva perso i genitori, il fratellino e anche uno zio. Fu la squadra dei militari di cui faceva parte Antoniazzi a metterlo in salvo.

«Avevo 21 anni, bisognava farsi forza per recuperare i morti»

«Facevo servizio militare nel genio pionieri della “Cadore”, alla caserma “Fantuzzi” di Belluno - ricorda Feliciano -. Alle 23 ci hanno dato l’allarme e siamo saliti. Siamo stati tra i primi ad arrivare, prima di mezzanotte eravamo lì, con l’ordine di cercare se sentivamo voci o lamenti. Era tutto buio, camminavamo nella melma. Poi sono arrivati altri reparti con i fari, si recuperavano i morti. Avevo 21 anni, bisognava farsi forza, darsi coraggio e cercare sopravvissuti con la mia squadra».

Antoniazzi: «Ho sentito un bambino piangere»

Ad un certo punto, Antoniazzi e la sua squadra hanno «sentito un bambino piangere, abbiamo seguito la voce e lo abbiamo trovato nel fango, bloccato da una trave. Abbiamo iniziato a scavare, anche con le mani per liberarlo e lo abbiamo estratto. Consegnato al personale sanitario, è partito con l’elicottero verso l’ospedale e di lui non ho saputo più nulla. Nei giorni seguenti a Fortogna abbiamo montato un grande gazebo dove venivano ammassate le vittime, in attesa di parenti lontani che venissero a fare il riconoscimento».
Quella sera del 9 ottobre dal monte Toc si erano staccati 270 milioni di metri cubi di terra e rocce, precipitando nel lago della diga. L’onda di quasi 200 metri travolse Longarone, assieme ad altri paesi. Sull’arazzo del ricordo, tessuto dal fato, dopo tutti questi anni due testimoni di quella tragedia si sono ritrovati. Una commozione, ancora di più se si considera che c’è una storia nella storia.

«Non dovevamo nemmeno essere a Longarone»

L’altra incredibile fatalità è che anche Feliciano si trovava quel giorno a Longarone, poco prima del disastro. «In quei giorni era in programma un’esercitazione, dovevamo costruire un grande ponte “bailey” per trasporto logistico, con la portata per carri armati, e avevamo portato il materiale sul posto. Due militari dovevano fare da guardia al materiale e il 9 ottobre 1963 eravamo là io ed un altro compagno. Alle 21 ci hanno dato il cambio e siamo scesi in caserma. Al nostro posto sono giunti Florindo Pretto di Cornedo e Giovanni Urriani di Ascoli Piceno. Non sono più stati ritrovati, portati via quella notte dall’onda. Terribile».

Matteo Pieropan

Suggerimenti