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IL CASO

Spia le dipendenti in bagno. Le risarcisce: 84 mila euro

Il titolare di un’azienda di Veggiano patteggerà per diversi reati. Le vittime sono quasi tutte vicentine
Una microtelecamera simile a quella usata dall’imprenditore per spiare le dipendenti ARCHIVIO
Una microtelecamera simile a quella usata dall’imprenditore per spiare le dipendenti ARCHIVIO
Una microtelecamera simile a quella usata dall’imprenditore per spiare le dipendenti ARCHIVIO
Una microtelecamera simile a quella usata dall’imprenditore per spiare le dipendenti ARCHIVIO

Avrebbe spiato le sue dipendenti mentre andavano in bagno. Per questa indebita interferenza nella vita altrui, e per una sfilza di altri reati, il titolare di un’azienda padovana ha chiesto di patteggiare 3 anni e 6 mesi di reclusione ottenendo il via libera della procura; nel contempo, Ibrahim Fadi, detto Abramo, origini siriane, 45 anni moltissimi dei quali passati in Italia, residente a Veggiano, ha già provveduto a risarcire con 84 mila euro la quindicina di vittime, tutte sue dipendenti e quasi tutte vicentine. Abitano fra Grisignano, Torri di Quartesolo, Montegalda e Montegaldella ed erano pronte a costituirsi parti civili per chiedere i danni fra l’altro con gli avv. Matteo Marcolin, Ernesto DeToni, Giampaolo Silvetti e Paolo Tabasso.

La scoperta della microcamera

I fatti contestati al titolare di un’azienda attiva nel settore dei servizi alla moda, con sede a Veggiano, difeso dagli avv. Enrico Ambrosetti e Matias Manco, risalivano agli anni compresi fra il 2019 e il 2022. Fu nel gennaio di due anni fa che un’operaia scoprì casualmente che all’interno della toilette dell’impresa, quella riservata alle dipendenti donne, c’era una microtelecamera, ed era evidente dove puntava il mirino; sporse subito denuncia in caserma. 

Le indagini

Le successivi indagini portarono a far luce su un quadro ancora più pesante: Fadi avrebbe trattato con offese e umiliazioni alcune sue lavoratrici, tanto che non erano mancate coloro che si erano licenziate o erano andate in cura. Era emerso che in sette sarebbero state spiate in bagno; altre tre sarebbero state riprese dall’imputato che prima faceva loro indossare dei capi di abbigliamento, senza biancheria intima, per verificare se il taglio era corretto, e poi le immortalava con il suo cellulare puntato anche sotto le gonne con la scusa di accertare se il vestito andava bene.

Sulla scorta degli accertamenti, la procura padovana aveva contestato al titolare d’impresa, oltre all’interferenza indebita, anche la violenza privata e gli atti persecutori ed era pronta a chiedere il processo. 

Gli atti persecutori

Questo sulla scorta di denunce e testimonianze: l’imputato avrebbe costretto le dipendenti a stare in piedi per ore davanti ai colleghi, a ricevere lanci di oggetti, ad ascoltare prediche infinite fuori dall’orario di lavoro. Condizioni che taluna accettava pur di non perdere il posto.

Durante le indagini erano state in 15, tutte giovani o giovanissime, a sporgere querela; e in 14 erano pronte a chiedere i danni, ma sono state ristorate da Fadi prima del dibattimento, di modo che non potessero parteciparvi. Ed hanno accettato di buon grado, ottenendo una somma e non dovendo più pensare alle protervie subite sul luogo di lavoro. Con tre anni e mezzo patteggiati, l’imputato potrebbe evitare il carcere e chiedere di essere ammesso ai servizi sociali in prova, continuando così a lavorare.

Diego Neri

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