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L'allarme

La grande crisi per la siccità, a rischio il riso di Grumolo

I coltivatori del presidio Slow food temono la penuria d’acqua: «Servono i bacini della valle dell’Astico»

«Nei primi anni Duemila l’azienda agricola di famiglia contava 60 campi di riso; quest’anno, per via della mancanza d’acqua, ne abbiamo in previsione solo 20». È quanto racconta, preoccupato, Massimo Tecchio, risicoltore di terza generazione a Grumolo delle Abbadesse. «Prima di spargere il concime e seminare, però, dovrò confrontarmi con il Consorzio Brenta per capire se c’è abbastanza acqua. Se così non fosse, sarò costretto a cambiare coltura».

Il riso in una crisi senza precedenti

Il riso di Grumolo delle Abbadesse, prodotto tipico veneto e presidio Slow food, affronta una crisi senza precedenti dovuta alla siccità che rischia di decimare i risicoltori. «Negli ultimi vent’anni, sono state fatte continue segnalazioni alle associazioni di categoria e alla Regione in merito al problema, ma non sono mai stati presi i provvedimenti adeguati. Continuando di tale passo, questo prodotto di nicchia è destinato a scomparire», gli fa eco Costantino Barban, presidente dell’Associazione risicoltori di Grumolo. 

Le avvisaglie della crisi già nel 2003

Entrambi rammentano che la minaccia della siccità era stata avvertita già nel 2003, anno in cui le piogge non erano riuscite a soddisfare appieno il bisogno d’acqua delle colture e degli allevamenti del paese. «Il problema è diventato preoccupante nell’ultimo decennio, ma l’unica cosa che possiamo fare è affidarci ai consorzi di bonifica, sperando che riescano finalmente a farsi sentire dalle associazioni di categoria e dalla Regione. Nel frattempo possiamo solo continuare ad adattarci, cercando di far sopravvivere le nostre colture e sostenendoci a vicenda», si augura Tecchio. 
«Parlo a nome di tutti i risicoltori di Grumolo se dico che il Consorzio Brenta centellina l’acqua, riuscendo a soddisfare almeno in parte le necessità dei nostri campi - aggiunge Barban -. Purtroppo, però, nonostante la corretta gestione, molto presto arriveremo al punto in cui non tutti potranno essere aiutati. Allora bisognerà aspettare che piova». 
A detta dei risicoltori, la realtà del riso di Grumolo delle Abbadesse, che ha vanta una storia con più di 500 anni di tradizione, a breve scomparirà. «Per via della siccità finiremo per essere una pagina su un libro di storia», sottolinea amaro Tecchio. 
«La Regione ha sottovalutato le nostre richieste di aiuto e, nell’ordinanza in cui impone di diminuire i consumi d’acqua. Ci sentiamo abbandonati». 

La risorgiva della Moneghina

In passato la Moneghina, canale artificiale costruito dalle suore badesse che nasce dal fiume Tesina nel territorio di Bolzano Vicentino e giunge a Grumolo, era la via principale per il trasporto e l’irrigazione del riso, ma ora la risorgiva non basta più. Si teme che una delle fonti d’acqua più probabili per il futuro della risicoltura - e dell’agricoltura in generale - sarà il bacino sotterraneo della valle dell’Astico. A questo proposito, sia Barban che Tecchio insistono sul fatto che raccogliere l’acqua meteorica negli invasi migliorerebbe la situazione. «Se raccogliessimo l’acqua piovana dei mesi invernali, potremmo smettere di attingere alle falde e riusciremmo col tempo a ristabilire un equilibrio sostenibile. Siamo colpiti dalla siccità perché abbiamo un bisogno costante di acqua per tre mesi all’anno».
I risicoltori, ad ogni buon conto, non perdono la speranza: «Ho iniziato a fare questo mestiere nel 1977, perché la mia terra si prestava a quello, e anche oggi a 80 anni soffro con la mia risaia. Però io ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno - anzi, colmo d’acqua - e sono fiducioso che l’acqua arriverà», conclude Barban.

Federica Zambrano

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