<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Nanto

Zancan: «Rovinato
dai rapinatori
Persi 1,2 milioni»

Un momento della drammatica rapina a Ponte di Nanto
Un momento della drammatica rapina a Ponte di Nanto
L'assalto mortale alla gioielleria di Nanto

Spari, urla, banditi in fuga. Tensione, paura e adrenalina. Le immagini della rapina di Nanto, alla gioielleria Zancan del 3 febbraio 2015, come fossero un “action movie” sono state rivissute ieri mattina in aula da alcuni dei protagonisti di quel drammatico martedì pomeriggio. Alla sbarra, anche se ieri non era presente fisicamente, c’è Oriano Derlesi. Per l’accusa è il bandito che, armato di kalashnikov, ha sparato per cercare di garantire la fuga ai suoi complici tentando di uccidere quattro persone. Tra i quindici testi indicati nella lista del pubblico ministero Gava ieri sono stati ascoltati, tra gli altri, Robertino Zancan (titolare del negozio preso di mira dai rapinatori) e Graziano Stacchio, il benzinaio che, cercando di difendere la commessa asserragliata nella gioielleria, ha risposto ai colpi dei banditi ferendone mortalmente uno, Albano Cassol.

«LA MIA ATTIVITÀ DISTRUTTA». «I danni che hanno fatto i rapinatori quel giorno sono nulla rispetto alle conseguenze che ho dovuto subire poi». Robertino Zancan risponde alle domande del pm e dei legali che lo contro interrogano e trattiene a stento la rabbia. «Nell’ultimo anno e mezzo ho perso 1,2 milioni di euro - continua -. A malincuore ho dovuto chiudere il punto vendita di Nanto che fatturava tra i 7 e gli 800 mila euro l’anno. Sono stato costretto a chiudere perché per le assicurazioni ero un soggetto troppo a rischio. Nessuno mi garantiva più copertura». Anche perché la rapina del febbraio 2015 era stata preceduta, sempre nello stesso store, da un’altra spaccata nel marzo 2013. «Quella volta si erano portati via più di 1 milione di euro - ricorda l’orafo -. L’assicurazione me ne ha dati circa 600 mila».

PAURA E FREDDEZZA. Dopo Zancan, in aula, è la volta di Stacchio. Ad ascoltare le sue parole i legali di parte civile, Dal Ben e Roetta, e i difensori di Derlesi, gli avvocati Benvegnù e Fragasso. «Non so cosa mi sia successo quella sera - attacca Stacchio -, forse angoscia, incoscienza o disperazione per sapere che Jenny (la commessa del negozio anche lei sentita ieri mattina ndr) era lì, ancora una volta sola in preda ai malviventi; allora vedendo che non arrivava nessuno, sono andato a prendere uno dei miei fucili da caccia e le pallottole. Avevo visto che uno dei banditi ne aveva anche lui uno e volevo affrontarlo con la stessa arma. Ma io non ho sparato per primo. Ho fatto fuoco solo quando loro hanno cercato di colpire Zancan. Allora ho mirato in aria sperando che se ne andassero». Invece l’effetto è stato l’innesco di una sparatoria nella quale sono stati esplosi tredici colpi accertati, ma forse anche molti altri in più. «Credevo di avere sparato cinque volte, in realtà sono state quattro - puntualizza il benzinaio -. Ma non ho mai voluto uccidere nessuno. E sono stato felice solo quando ho visto la ragazza, sana e salva, uscire dalla gioielleria».

IN CORRIDOIO. Al termine della prima parte dell’udienza le tensioni si sono scaricate dall’aula al corridoio verso l’uscita. «Stamattina mi è sembrato di essere il delinquente - sbotta Zancan -. Provo solo vergogna. Hanno incalzato me e Graziano quando i banditi sono quelli che sparavano con armi da guerra». Quindi il commento di Stacchio: «Ti umiliano, ma a me non interessa. Io non volevo uccidere e la cosa più importante era comunque salvare la vita di Jenny». Ma le scintille non si spengono e un battibecco coi legali di Derlesi si accende anche sulle scale. «Ciò che stupisce - osserva l’avvocato Benvegnù - è il fatto che il signor Zancan ha completamente cambiato la sua versione dei fatti affidata ai carabinieri. In aula ne ha fornito una mai sentita».

Matteo Bernardini

Suggerimenti