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Dopo il duplice femminicidio

Violenze, le “altre” Lidija hanno ancora più paura. Boom di richieste di aiuto

Le scarpe rosse simbolo della violenza contro le donne
Le scarpe rosse simbolo della violenza contro le donne
Le scarpe rosse simbolo della violenza contro le donne
Le scarpe rosse simbolo della violenza contro le donne

Ci sono delitti che scuotono più di altri l’opinione pubblica, che turbano le coscienze e che suscitano reazioni. Il duplice delitto commesso da Zlatan Vasiljevic, il cittadino bosniaco 42enne che ha ucciso l’ex moglie Lidija Miljkovic e l’ultima compagna Gabriela Serrano è indubbiamente uno di questi. Soprattutto perché l’assassino aveva già subito una condanna definitiva per maltrattamenti ed era imputato in un altro processo con le stesse accuse. È dunque comprensibile che, in questi giorni, in molte donne che hanno un trascorso simile a quello di Lidija, fatto di violenze domestiche, stiano crescendo paura e preoccupazione.

Timori e ansia che sfociano nelle numerose telefonate che stanno registrando i centralini delle forze dell’ordine e dei centri antiviolenza. «Di queste situazioni, purtroppo, ce ne sono sempre di più» afferma Maria Zatti, presidente di “Donna chiama donna”, l’associazione che gestisce il Centro antiviolenza del Comune di Vicenza e lo sportello di Arzignano. 
Zatti non nasconde la preoccupazione: «Questa è la nostra fatica: gestire con le risorse e le operatrici che abbiamo situazioni sempre più complesse. Il tipo di violenza è sempre più crudele. Siamo in una posizione in cui abbiamo le orecchie sempre molto, molto alte. Vuoi anche per il rischio di emulazione, ultimamente i casi sono sempre più pericolosi. Certo il lockdown ha acuito certe situazioni, ma ora non siamo più con l’emergenza della convivenza. Probabilmente siamo in una situazione dove la violenza sta diventando sempre più difficile da gestire. Il tema è sempre più complesso, perché è sempre più efferata». La presidente di Donna chiama donna prosegue: «In questi giorni si possono dire tante cose, si stanno sentendo delle dichiarazioni e il contrario delle stesse. Anche il discorso di Ares o il discorso delle diminuzioni delle pene con questi percorsi riabilitativi. Quindi, è difficile andare alla caccia del colpevole o cercare di darsi delle risposte. Quello che dico, visto che è un momento molto “caldo”, è che spero sia l’occasione giusta per approfondire alcune falle e risolverle. Bisogna poi capire come gestire questi tipi di soggetti pluridenunciati che prima o poi, non si sa perché o come, tornano in libertà o in semilibertà. Bisogna capire lì che cosa può scattare per tutelare ancora la donna. Questa è la cosa da fare. Di certo la soluzione non è quella di rinchiudere una donna in una casa-rifugio». E conclude: «Può essere che adesso arrivino ancora più richieste, perché queste cose mettono ancora più paura alle donne. E può essere anche che qualcuna prenda il coraggio di chiedere aiuto».

Nel frattempo, sull’“altare” dove balza all’occhio una foto di Lidija, improvvisato in via Vigolo accanto al punto dove la donna è stata freddata, è stato affisso anche un messaggio rivolto alla vittima e firmato da Mauro e Silvia, due suoi grandi amici. «Cara Lidija, il tuo sorriso, fin da subito, ha fatto breccia nella nostra vita: davvero il sorriso più luminoso che abbiamo conosciuto! - si legge -. Nel tempo, pur rimanendo tale, si è bagnato delle lacrime di tanta sofferenza. Non c’è di peggio di vedere un sorriso maltrattato e vilipeso che piange perché ci fa sentire tremendamente in colpa quando ci lamentiamo per delle sciocchezze. Per anni, hai trasmesso, con coraggio, desiderio di vita, fede immensa, semplicità e capacità di sostenere pesi sempre più grandi! Hai portato conforto quando invece ne avevi tanto bisogno!». I toni, poi, si fanno più duri: «Hai lottato, con il sorriso, con tanta dignità, forza e rispetto per difendere la via dei tuoi figli contro tutti: sì, perché non c’è solo chi ha alzato la mano e ti ha ucciso, sono tanti gli aguzzini complici che, velatamente, ti hanno abbandonata, ricattata, fatta sentire in colpa, una mamma fuori posto, una moglie che, tutto sommato, non era poi così innocente... fino a privarti dei tuoi figli che hai sempre protetto: perseverante, li hai accuditi, educati senza mai abbandonarli come solo una vera mamma sa fare». E ancora: «Ora, proviamo rabbia nel constatare tanta ipocrisia perché, chi di dovere, nell’indifferenza, non ha colto la tua storia per accorgersi che vergognosamente qualcosa non andava per il giusto verso. Ora, tutti a guardarsi intorno, smarriti, a veder colpevoli nell’altro o, più semplicemente, pensare bastino una panchina, un paio di scarpe rosse o una fiaccolata per sentirsi la coscienza a posto: ma la verità, per quanto accaduto, non trova giustizia nelle chiacchiere, nelle scuse e nei silenzi omertosi». Gli autori concludono la lettera con una promessa: «Ti vogliamo bene. Saremo sempre con i tuoi cari». 

Valentino Gonzato

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