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Vicenza

Vaiolo delle scimmie: il San Bortolo in allerta

Vaiolo delle scimmie. L’Ulss ha già predisposto una procedura aziendale perché l’ospedale sia pronto ad agire nell’ipotesi che anche a Vicenza spuntasse qualche caso di Monkeypox. Vinicio Manfrin, primario di malattie infettive del San Bortolo, ancora alle prese con un grosso carico di ricoveri per Covid, è chiamato ad interessarsi subito della nuova infezione che avanza. Il vaiolo delle scimmie per il momento non fa paura, anche se per prudenza non è sbagliato ricordare che anche con il Covid si partì in sordina e si pensò che il problema fosse altrove, solo cinese. «C’è questa segnalazione, ma per adesso non c’è preoccupazione, non si prevede un andamento epidemico importante. Il Monkeypox è noto da tempo. Oggi c’è solo un numero più elevato di casi. Non sembra però una patologia da mettere a rischio la vita dei pazienti. Le microendemie degli anni scorsi non hanno provocato particolari conseguenze in termini di letalità. Resta da vedere se non ci siano delle varianti, se non sia diventato più patogeno». 
Attualmente, sono un’ottantina i casi segnalati in tutto il mondo. In Italia i casi salgono a 4. Ai 3 pazienti in carico all’Istituto Spallanzani di Roma se ne è aggiunto nelle ultime ore un quarto ricoverato all’ospedale San Donato di Arezzo, anche lui reduce da una vacanza alle Canarie. L’Oms, anzi, sarebbe pronta a dichiarare lo stato di emergenza internazionale. È annunciata una riunione in cui si parlerebbe delle modalità di contagio, dello scenario epidemiologico, dei vaccini. 
A Vicenza, dunque, non c’è allarme, ma non si minimizza. Dopo il Covid nulla può essere preso alla leggera. Per questo è scattata una prima allerta che coinvolge tre reparti: malattie infettive, pronto soccorso, microbiologia. Gli infettivologi dovranno fare i tamponi sulle vescicole, gli esami indispensabili, ma il pronto soccorso ha il compito di identificare eventuali casi, e la microbiologia si occuperà di spedire i campioni diagnostici raccolti all’Istituto Spallanzani, l’unico finora in Italia titolato a sequenziare il genoma del virus. 
«In passato - spiega il dottor Manfrin – i focolai nei Paesi occidentali sono stati sporadici. In Africa si sono invece visti cluster diffusi». Il sintomo più evidente del vaiolo delle scimmie è un esantema. È una irritazione della pelle che si manifesta con la comparsa di vescicole tondeggianti sul viso e sul corpo, un po’ come quelle del morbillo, anche se nel vaiolo delle scimmie, precisa Manfrin, non vengono fuori ad ondate con varie fasi di evoluzione ma c’è una sola, violenta eruzione. Comincia come un’influenza: febbre, mal di testa, spossatezza, linfonodi ingrossati. Poi è l’eruzione cutanea a dare sospetti. L’incubazione varia da 5 a 21 giorni, la malattia esplode tra i 6 e i 13 giorni dal contagio, e, per lo più, si risolve spontaneamente nel giro di una-due settimane con un po’ di riposo e senza terapie specifiche. Possono essere somministrati degli antivirali se necessario, e l’Iss, l’Istituto superiore di sanità, fa sapere che le persone non vaccinate contro il vaiolo, una profilassi abolita in Italia dal 1982, possono rischiare maggiormente di infettarsi con il Monkeypox perché privi di anticorpi che, per la similitudine dei due virus, possono essere efficaci anche per contrastare questa virosi. La raccomandazione è di restare a casa a riposo qualora insorga la febbre e di rivolgersi al medico se sulla pelle apparissero vescicole, bolle, pustole, piccole croste o altre manifestazioni cutanee. Il vaiolo delle scimmie è altamente contagioso. In caso di infezione deve scattare subito l’isolamento. 
«Il contagio – spiega il dottor Manfrin – avviene per contatto con persone infette, fluidi corporei e lesioni cutanee, o anche a distanza attraverso droplets, le goccioline di saliva che si emettono respirando, quando si parla, si starnutisce o tossisce, come accade con il raffreddore, l’influenza, lo stesso Covid». 
Il pericolo è, quindi, in agguato pure per il personale sanitario. «Occorre massima attenzione – sottolinea il primario – Se il contagio avvenisse in ospedale l’isolamento si farebbe nel nostro reparto»

Franco Pepe

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