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Al San Bortolo di Vicenza

Staminali per il Covid, prima paziente guarita. «Terapia fatta in casa»

Cellule staminali in laboratorio (Foto d'archivio)
Cellule staminali in laboratorio (Foto d'archivio)
Cellule staminali in laboratorio (Foto d'archivio)
Cellule staminali in laboratorio (Foto d'archivio)

Una paziente già arruolata e guarita. Un’arma in più contro il Covid. Una “bomba” a base di cellule mesenchimali “costruita” dalla cell factory dell’Ulss Berica e attivata dal team di ematologia del San Bortolo, e una nuova, preziosa via terapeutica per riparare i polmoni attaccati dal virus Sars-Cov2 prima che il malato finisca in terapia intensiva e venga intubato. La donna, una vicentina no-vax pentita di 52 anni, ricoverata in pneumologia, il reparto che, per criticità dei pazienti da trattare, è l’anticamera della rianimazione, si è rimessa in pochi giorni, ed è tornata a casa con i polmoni sani, funzionanti. La radiografia ha mostrato i due organi deputati all’ossigenazione del sangue del tutto normali, senza cicatrici, come se il Covid non fosse mai passato. 

È uno studio-pilota unico in Italia, avviato dall’ematologia berica in collaborazione con altri due centri, gli ospedali di Modena e di Monza. Il protocollo prevede che ciascuno dei tre centri del network produca nel proprio laboratorio le cellule anti-Covid che vengono poi infuse nell’ospedale di appartenenza. Si tratta di una sperimentazione di punta, di una terapia altamente innovativa che richiede una tecnologia abbastanza “spinta”, e perciò, sotto l’aspetto regolamentatorio, una volta ottenuto il consenso del comitato etico, può per il momento essere utilizzata solo nel proprio ospedale e su un paziente locale. In altre parole queste cellule oggi non possono essere cedute ad altri ospedali. Siamo ancora alla fase sperimentale. Poi, se l’esito, come pare da questo primo caso, sarà confortante, si dovrà capire come fare per estendere la nuova terapia in ambito nazionale. Insomma Vicenza ha bruciato le tappe e questo primo risultato è più che promettente su tutta la linea. 

La produzione del materiale genetico è opera del laboratorio di terapie cellulari avanzate di palazzo Baggio guidato da Giuseppe Astori. La regia operativa è del reparto di ematologia diretto dal primario facente funzioni Alberto Tosetto, una carriera iniziata da giovanissimo ancora ai tempi del fondatore del reparto Enrico Dini e, quindi, proseguita con immutata passione a fianco dei predecessori Francesco Rodeghiero e Marco Ruggeri nella continuità della scuola ematologica vicentina. Ad infondere le cellule è stata la dottoressa Francesca Elice. Due realtà, il lab e il reparto, che costituiscono altrettante eccellenze a livello internazionale grazie a professionalità e dotazioni all’avanguardia, che sono perfettamente integrati, lavorano in sintonia, e si stanno distinguendo nello sviluppo e nell’applicazione di farmaci biologici in grado di riconoscere e distruggere selettivamente le cellule tumorali all’interno di quell’orizzonte scientifico internazionale che rappresenta il futuro della ricerca in campo onco-ematologico. 
«È una terapia – spiega il dottor Tosetto – che diminuisce la risposta infiammatoria quando il virus aggredisce i polmoni ma che va adottata sul paziente che rischia di andare in rianimazione». Anche qui un discorso di sinergia. Il malato candidato all’infusione delle mesenchimali che sconfiggono il Covid è identificato dal gruppo degli pneumologi del primario Giuseppe Idotta. Il trattamento lo fanno gli ematologi direttamente nel reparto di ematologia. Le cellule vengono scongelate sul posto e infuse in due riprese ravvicinate. «È un approccio – dice Tosetto - che si dimostra estremamente favorevole per il fatto che in soccorso delle cellule malate del polmone si mandano non farmaci, non molecole, ma altre cellule modificate per esprimere una potenziale capacità riparatrice».
In ospedale per curare il Covid si tentò inizialmente con il plasma dei pazienti guariti, una via poi abbandonata. La novità apparve l’infusione di mesenchimali capaci di inibire il meccanismo infiammatorio provocato dal virus. Cellule che si ottengono solo in una cell factory come quella attivata al San Bortolo dopo due-tre settimane di coltura. Un procedimento che il laboratorio dell’Ulss è in grado di fare e che sta dando i miei frutti.  

Franco Pepe

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