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Vicenza

«Sono stata costretta a seppellire il feto». Lite sul Giardino degli Angeli

La legge regionale stabilisce che i “prodotti del concepimento” vengano portati in cimitero. Martina, 42 anni: «Non volevo ma non ho potuto rifiutare, tolta la possibilità di scelta»
L’area del cimitero maggiore di Vicenza destinata all’inumazione delle urne contenenti i resti della cremazione dei prodotti del concepimento
L’area del cimitero maggiore di Vicenza destinata all’inumazione delle urne contenenti i resti della cremazione dei prodotti del concepimento
L’area del cimitero maggiore di Vicenza destinata all’inumazione delle urne contenenti i resti della cremazione dei prodotti del concepimento
L’area del cimitero maggiore di Vicenza destinata all’inumazione delle urne contenenti i resti della cremazione dei prodotti del concepimento

Soffia vento di bufera sul Giardino degli Angeli al cimitero maggiore di Vicenza, area inaugurata lo scorso anno e dedicata alla sepoltura dei «prodotti del concepimento». All’origine della polemica, una legge regionale e una vicenda privata. A scatenare il dibattito è stata infatti l’esperienza di Martina, 42 anni, residente in città, che dopo un aborto spontaneo si è trovata a «non poter decidere» come gestire quanto rimosso con il raschiamento, inumato nel Giardino degli Angeli nonostante la contrarietà della donna.

I fatti

Tutto ha inizio a fine maggio, quando Martina scopre di essere incinta. Durante un’ecografia di controllo all’undicesima settimana emerge però che la gravidanza si era interrotta alla settima. «Ho avuto problemi da subito - spiega la donna - e quando ho scoperto che era andata male ho scelto di eseguire un raschiamento, perché mi sentivo più sicura rispetto all’espulsione naturale». Ma a quel punto Martina si è scontrata con la legge. Al momento di firmare il consenso informato per eseguire la procedura, infatti, si è vista presentare anche un modulo sulle disposizioni per il trattamento del prodotto del concepimento. «C’erano solo due alternative: o mi rivolgevo alle onoranze funebri per la sepoltura, oppure se ne sarebbe occupata l’Ulss come da procedura». Procedura definita dall’articolo 40 della legge regionale 45 del 29 dicembre 2017, che ha modificato la legge regionale 18 del 4 marzo 2010 “Norme in materia funeraria”.

La legge

Con le modifiche del 2017 - con prima firmataria Elena Donazzan, attualmente assessore regionale di FdI - si prevede che «a ogni aborto, verificatosi in una struttura sanitaria accreditata, anche quando l’età presunta del concepito sia inferiore alle 28 settimane, nel caso in cui il genitore o i genitori non provvedano o non lo richiedano, l’inumazione, la tumulazione o la cremazione è disposta, a spese dell’azienda Ulss, in una specifica area cimiteriale dedicata o nel campo di sepoltura dei bambini del territorio comunale in cui è ubicata la struttura sanitaria». «I prodotti abortivi o del concepimento - si legge - sono riposti in una cassetta, che può contenere uno o più concepiti, secondo il criterio della data in cui è avvenuta la procedura di revisione strumentale/farmacologica della cavità uterina. Tale data è indicata sulla cassetta». La destinazione resta dunque il cimitero. Procedura seguita dall’Ulss 8, ma anche dall’Ulss 7.

La (non) scelta di Martina

«Mi sembrava allucinante - aggiunge Martina - quindi non ho barrato alcuna casella, pensando che così il materiale sarebbe rimasto in ospedale (per essere trattato come rifiuto speciale, come accadeva in passato ndr), ma mi hanno detto che dovevo per forza scegliere. A quel punto ho segnato la casella dell’Ulss, ma quando sono tornata per il raschiamento ho consegnato una dichiarazione in cui precisavo che non volevo alcuna sepoltura. Poi ho scritto anche all’Urp che a inizio agosto mi ha risposto che è stata seguita la legge e che la procedura era anonima e aconfessionale». Spiegazione che non le è bastata. «Per me era un embrione il cui sviluppo si era fermato alla settima settimana - spiega - il fatto di avere una parte di me al cimitero mi fa stare male. Un conto è dire che la gravidanza è andata male, un conto è che ti facciano sentire di avere un bambino morto al cimitero. Che è comunque uno spazio cattolico, almeno nella visione collettiva. Trovo irrispettoso che non si possa scegliere. Penso anche alle donne che per qualsiasi ragione decidono di interrompere la gravidanza, a come si possono sentire giudicate». 

La polemica

Elena Ostanel, consigliera regionale de “Il Veneto che vogliamo” ha predisposto un progetto di legge per rivedere la norma. «Con la modifica alla legge del 2010 - precisa - approvata dal Consiglio Regionale nel 2017, la Regione si è discostata dall’indirizzo nazionale andando ad imporre l’obbligo di sepoltura per i prodotti abortivi, quindi anche prima della 28esima settimana gestazionale. Quando ho sentito la storia di Martina non potevo crederci. È aberrante che non ci sia libertà di scelta. È medievale». Da Venezia a Vicenza il passo è breve. Dodo Nicolai, di Coalizione civica, ha presentato una domanda di attualità: «Ci tengo a chiedere al sindaco la sua posizione riguardo l’obbligo di sepoltura del prodotto del concepimento di una gravidanza interrotta, considerato che il fatto è accaduto a Vicenza». Sindaco che per ora non interviene. 

Alessia Zorzan

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