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Vicenza

Sanità e precetti
religiosi: l'Ulss
scrive alla procura

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Dilemmi etici si pongono spesso anche all'ospedale San Bortolo
Dilemmi etici si pongono spesso anche all'ospedale San Bortolo
Dilemmi etici si pongono spesso anche all'ospedale San Bortolo
Dilemmi etici si pongono spesso anche all'ospedale San Bortolo

VICENZA. Testimoni di Geova e trasfusioni di sangue. Cosa fare? Rispettare la volontà del paziente che per motivi religiosi rifiuta le emotrasfusioni o salvargli la vita? Un dilemma, anche etico e culturale, oltre che sanitario e giuridico, che continua ad avere risposte contrastanti. A Vicenza finora tutto è andato bene in neurochirurgia, in urologia, in cardiochirurgia, in chirurgia generale, addirittura nei trapianti da vivente. Anzi, i seguaci di Geova hanno eletto il San Bortolo ospedale di riferimento nazionale per l'abilità dei chirurghi vicentini ad eseguire interventi anche difficili e complicati evitando il minimo gocciolamento di sangue e, quindi, il ricorso alle trasfusioni, come avviene quasi sempre in sala operatoria. A Vicenza è ormai figura familiare il ministro del culto Antonio Galzignato, che non solo è l'uomo di collegamento per quanti della sua stessa confessione vogliono farsi operare al San Bortolo con la chirurgia senza sangue, ma anche fa la spola fra il comitato dei Testimoni di Geova e l'ospedale per verificare che il principio con cui non si accettano trasfusioni di globuli rossi, bianchi, piastrine e plasma non venga disatteso dal medico e né, tanto meno, dal paziente.

 

Il rischio è, però, sempre in agguato. E il dg dell'Ulss 8 Giovanni Pavesi scrive al procuratore Antonino Cappelleri per avere una risposta anche giuridica a un quesito che oppone un precetto rigidissimo a convinzioni morali e a principi di deontologia medica. Perché in Italia sono ormai parecchi i casi finiti in tribunale con verdetti divergenti. «Al San Bortolo - spiega il dg Pavesi - abbiamo medici bravissimi, in grado di eseguire interventi eccezionali. Gli imprevisti possono, però, sempre esserci. E allora i nostri chirurghi giustamente si rivolgono a noi per capire come comportarsi».

 

Due giorni fa l'ultimo episodio in ordine di tempo. In ospedale arriva un uomo di 58 anni di Vicenza. Sta molto male. Gli diagnosticano una dissezione dell'aorta. Va operato subito, altrimenti muore. Lo trasferiscono in una sala operatoria della cardiochirurgia. Accorre lo specialista dell'aorta, Paolo Magagna, una casistica di 50 dissezioni come primo operatore e più di 60 come aiuto, e comunica al paziente che deve essere sottoposto a un intervento delicato e urgente. L'uomo dice di sì, che accetta, ma a una condizione: «Sono un testimone di Geova. Non voglio trasfusioni. Non do il consenso». Magagna ha già operato con successo per questa stessa patologia tre testimoni di Geova, ma ogni volta è una sfida contro l'imponderabile: «Ero obbligato ad operare. Non lo avessi fatto sarei stato passibile di denuncia per omissione di soccorso. Ma sapevo anche che nel 90% degli interventi del genere i pazienti possono sanguinare anche molto. E poi, un'altra questione: oltre a me, ad assistermi, c'era un giovane collega, Alessandro Favaro, e, naturalmente, c'era l'anestesista, Cecilia Covajes. Anche per loro un problema di coscienza. Perché le cose sono due: o infrangi la legge che riconosce il diritto del pazienti a decidere della propria vita e impone al medico di rispettarne la volontà, o vai contro i tuoi valori etici che, dinanzi a una situazione drammatica, ti indurrebbero comunque a utilizzare la sacca di sangue che può salvargli la vita».

L'intervento inizia. Dietro il tavolo operatorio, per sincerarsi che i medici rispettino il divieto del paziente a ricevere sangue altrui, ma che anche il paziente vedendosi in pericolo e senza alternative non accetti in extremis la trasfusione, ci sono Galzignato e altri tre adepti della congregazione. Fortunatamente, grazie all'esperienza del dott. Magagna, che usa una tecnica originale, la "sostituzione della radice aortica con una protesi di inclusione", richiudendo in pratica la protesi biologica dentro l'aorta malata, le cose finiscono nel modo migliore. Neppure un goccia di sangue. Un'impresa. O poco ci manca. «Ma se non avessi avuto con me l'equipe giusta - dice - cosa sarebbe successo? E la prossima volta cosa accadrà?». 

Franco Pepe

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