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La storia

Rischia di morire a causa del Covid, acquista una pagina del GdV per lanciare un appello: «Vaccinatevi»

L'assistenza a un paziente colpito da Covid e ricoverato in terapia intensiva (Archivio)
L'assistenza a un paziente colpito da Covid e ricoverato in terapia intensiva (Archivio)
L'assistenza a un paziente colpito da Covid e ricoverato in terapia intensiva (Archivio)
L'assistenza a un paziente colpito da Covid e ricoverato in terapia intensiva (Archivio)

Antonio, un nome come l'altro, senza un cognome. Una lettera, vergata con la penna, come si faceva una volta, intinta nell'anima e pubblicata ieri su una pagina intera del nostro Giornale, semplice, senza enfasi, che mette il cuore a nudo. Parole che emanano profumo di umanità, che ripercorrono il lungo calvario di un Covid crudele, estremo, sconfitto quando sembrava avesse ormai preso il sopravvento. Una scrittura delicata che ruota attorno a un "grazie" con la "G" maiuscola, per esprimere gratitudine "al buon Dio", a familiari, amici, ai suoi salvatori, medici, infermieri, fisioterapisti, operatori dell'ospedale di Vicenza. Poi, l'invito a sostenere una sanità pubblica spesso ingiustamente vituperata e, invece, così indispensabile, preziosa, una roccaforte fatta di professionalità, competenze, spirito di dedizione, che dà sicurezza ed è un riferimento preciso per tutti. Infine, il monito a vaccinarsi. Senza retorica, ma con autenticità. "Scrivi le frasi più vere che conosci" ripeteva Hemingway, e Antonio l'ha fatto. Perché le parole sono portatrici di emozioni, sentimenti. Placano, raccontano esperienze, hanno un grande potere, possono cambiare il mondo. Ancora di più in una lettera-testimonianza come questa che usa un alfabeto di cui, davanti alle derive del web e dei social, si avverte sempre più nostalgia. Cento giorni di battaglie sperando di aver vinto la guerra, è il titolo di questa confessione che dà il senso di una tragedia sfiorata, il virus spietato, la morte vista da vicino, una infinita e drammatica lotta in ospedale, la resurrezione conquistata, passi lenti e via via più sicuri accompagnati da persone care e straordinari camici bianchi. Oltre tre mesi di ricovero, più di due mesi in terapia intensiva. Un mese di riabilitazione.

«Non è ancora finita ma il peggio è passato e oggi, più che mai, sento il bisogno di dire grazie». La riconoscenza di Antonio va a tutti i reparti del San Bortolo e di Arzignano in cui è stato curato «con professionalità, determinazione, amore»: il pronto soccorso, l'unità di malattie infettive e la pneumologia di Vicenza, la rianimazione del Cazzavillan. Con un ringraziamento particolare per i due reparti che lo hanno ospitato per più tempo: la rianimazione e la riabilitazione del San Bortolo. E, accanto ai reparti, i nomi dei primari: Francesco Corà, Vinicio Manfrin, Giuseppe Idotta, Silvio Marafon, Vinicio Danzi, Giannettore Bertagnoni. Fra di loro gli eroi vicentini che continuano a fronteggiare con abnegazione, bravura, passione, senza far rumore, il Covid insidioso e le sue varianti letali.

Antonio, cinquantenne, è un miracolo vivente. È stato attaccato per settimane in rianimazione all'Ecmo, la macchina cuore-polmoni che è l'ultima chance che si offre a un paziente quando è in condizioni disperate. Un ultimo giro di roulette. Fu la moglie a chiamare il pronto soccorso e a passarlo al telefono a Corà. Il primario si accorse che non riusciva respirare: «Venga subito in ospedale». Iniziava così la dolorosa avventura. Una situazione sempre più grave. Sembrava un destino segnato. «Nessuno ci avrebbe più scommesso - sussurra un medico - e invece ce l'ha fatta». Prima in un letto degli infettivologi, subito dopo in pneumologia, ma è sempre più affamato d'aria, allora il trasferimento d'urgenza in rianimazione, dove viene intubato in posizione prona a pancia in giù per agevolare gli scambi gassosi, ma ancora un crollo, l'abisso, l'Ecmo per tre settimane, il cuore e i polmoni sostituiti da una macchina. È il tentativo finale quando l'ultimo miglio sta per finire, invece, va bene. Prima gli tolgono il tubo dalla gola. Poi la riabilitazione perché le gambe, dopo due mesi di terapia intensiva, sono come paralizzate. Il gioco di squadra, intelligente, instancabile, scienza a misura d'uomo, dei medici e delle loro equipe, ha la meglio sul nemico virale. Il duello rusticano colpo su colpo era vinto. Antonio era vivo. Il ritorno alla vita e a casa fra i volti amati.

«Chi legge queste righe - scrive Antonio - faccia un esame serio di coscienza. L'unico strumento che può evitare casi come il mio è il vaccino. Se non l'ha già fatto, lo prenoti subito»

Franco Pepe

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