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L'intervista a Massimo Polidoro

«Pensare da scienziati vuol dire andare oltre le proprie certezze»

Lo scrittore e giornalista Massimo Polidoro (Foto Roberta Baria)
Lo scrittore e giornalista Massimo Polidoro (Foto Roberta Baria)
Lo scrittore e giornalista Massimo Polidoro (Foto Roberta Baria)
Lo scrittore e giornalista Massimo Polidoro (Foto Roberta Baria)

C'è la tendenza a pretendere risposte rapide e certe dal mondo della scienza, e magari ci si inquieta se non arrivano subito, finendo per immaginare chissà che complotti. Invece allo scienziato non è estraneo il dubbio, anzi, è connaturato al suo lavoro. Spesso, però, gli scienziati stessi non riescono a comunicare questi aspetti, finendo per alimentare aspettative infondate. È successo con la pandemia, ulteriore prova di quanto sia necessario coltivare l'arte del dubbio: all'incontro on line di Fondazione Zoé in programma giovedì 21 aprile alle 18.15 (in diretta sulla pagina Facebook del Giornale di Vicenza e sul sito di Fondazione Zoé) ne parlerà Massimo Polidoro, scrittore, giornalista e segretario nazionale del Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze, autore di oltre 50 pubblicazioni, collaboratore di "Superquark", molto attivo nella divulgazione sui social.

Da dove ha avuto origine il suo percorso?
Ho iniziato molto giovane: il libro di Piero Angela "Viaggio nel mondo del paranormale" è stato per me una sorta di rivelazione. Gli ho scritto una lettera, e ne ho scritto una anche a James Randi, grandissimo sbugiardatore di bufale. Non mi aspettavo nulla, invece entrambi mi hanno risposto. Ho cominciato a collaborare, fino a trascorrere un anno negli Stati Uniti come apprendista di Randi. In Italia ho studiato psicologia a Padova e ho cominciato a scrivere libri, poi sono arrivati gli insegnamenti di psicologia dell'insolito a Milano-Bicocca e di comunicazione delle scienze ai dottorandi di Padova.

C'è anche l'illusionismo tra le sue passioni giovanili.
Sì, fin da bambino, mi affascinavano i prestigiatori come Silvan. Ho visto un film con Tony Curtis che faceva Houdini, un personaggio straordinario, anch'egli smascherò molti ciarlatani. Ho imparato qualche gioco di prestigio, soprattutto grazie a Randi.

A James Randi ha dedicato il suo ultimo libro, "Geniale", edito da Feltrinelli. Se dovesse condensare i suoi insegnamenti in una frase, cosa direbbe?
Forse la lezione più importante di Randi è stata la curiosità assoluta per tutto, il non stancarsi di sapere, il continuare a farsi domande che non sono mai inutili. Alimentare il senso della meraviglia, cercando risposte concrete.

Che cosa vuol dire coltivare l'arte del dubbio?
Siamo portati a cercare conferme alle nostre convinzioni, non ci viene naturale cercare smentite. E ne troviamo finché vogliamo, di conferme: ma è tutto vero? Nella scienza si cercano proprio le smentite alle teorie, che rimangono valide finché, appunto, non vengono smentite. Per questo gli scienziati fanno le pulci al lavoro gli uni degli altri, non certo per gelosia, anzi per dare un aiuto ai colleghi. Coltivare l'arte del dubbio significa non accontentarsi delle conferme, cercare altri punti di vista, altre campane, altre fonti.

Invece internet ci porta a fare l'esatto contrario, a chiuderci in una bolla di certezze. Perché si è arrivati a questo?
Internet non era nato con questa intenzione, anzi, era concepito per condividere le conoscenze. Poi è diventato un business, e come tale cerca di attirare il pubblico e non perderlo. Come ci riesce? Creando un gruppo con un'identità riconosciuta, una comunità, attraverso algoritmi studiati apposta. Ti ritrovi così tra persone che la pensano come te, che dicono quello che dici, e critichi chi non è allineato. Ma sei tu quello che non sta ascoltando.

Il mondo no vax, con le sue posizioni, non coltiva il dubbio?
La spinta è quella giusta, farsi domande, non accontentarsi delle conferme. Tuttavia mancano gli strumenti critici per riuscire a navigare nell'oceano delle informazioni. Così finiscono per trovare conferme ai dubbi e alle paure.

Su molti aspetti, come i cambiamenti climatici, o la stessa pandemia, abbiamo ormai molti dati scientifici. Eppure questo non innesca comportamenti adeguati. Perché?
C'è la disinformazione creata ad arte da chi ne ha interesse, i "mercanti di dubbi" come li hanno definiti Oreskes e Conway. E poi, quando percepiamo come lontani i pericoli e i rischi, tendiamo a procrastinare la nostra azione. È successo con il virus: la scienza ci aveva messo in guardia, ma ci ha colto impreparati.

Quando è scoppiata la pandemia tutti si aspettavano dagli scienziati risposte certe e immediate, però spesso gli esperti si contraddicevano l'un l'altro. Perché?
La scienza ha bisogno dei suoi tempi, deve indagare, cercare di capire e trovare le risposte. Che nel caso della pandemia sono state eccezionali per rapidità ed efficacia. All'inizio però si invitavano gli esperti in una fase in cui era normale avere posizioni e idee diverse, perché ancora non si sapeva nulla. È arrivato in tv quel dibattito scientifico che di solito sta dietro le quinte, perché ha bisogno di verifiche ed esperimenti.

Non sempre gli scienziati riescono a far capire questi aspetti di metodo. C'è carenza nella capacità di comunicare?
Indubbiamente c'è una responsabilità degli scienziati, una loro difficoltà nel saper comunicare il dubbio e l'incertezza che sono connaturati al loro lavoro. Poi c'è da dire che un atteggiamento arrogante non convince il pubblico, anzi lo allontana.

Si avvicina il Cicap Fest di Padova, dal 3 al 5 giugno. Il tema è ambizioso, "La scienza del mondo che verrà". Come si fa a immaginarla?
Da una parte vogliamo ricordare come i nostri avi si immaginavano il futuro, dall'altra cerchiamo di capire quali sono le direzioni che la scienza potrebbe prendere in vari ambiti, come la salute, la tecnologia, l'esplorazione dello spazio, l'informazione. E la disinformazione.

Gianmaria Pitton

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