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Vicenza

Turni scoperti, il caso dei medici a gettone in ospedale

In un mese novanta turni al San Bortolo di Vicenza e trenta a Noventa
Ospedale S. Bortolo
Ospedale S. Bortolo
Ospedale S. Bortolo
Ospedale S. Bortolo

Esplode in Italia la questione-gettonisti. Sono i medici, neo-laureati, pensionati, liberi professionisti reclutati da cooperative esterne per andare a coprire negli ospedali in crisi per buchi di organico nei turni di lavoro, ciascuno generalmente di 12 ore, e remunerati con un gettone che può arrivare fino a 1200 euro per singolo camice bianco ma che a Vicenza non supera gli 883 peraltro pagati alla cooperativa. 
Il dossier interessa soprattutto i pronto soccorso, dove la carenza di personale si fa sentire in modo drammatico, e il paziente ha sempre più la possibilità di essere visitato da uno di questi medici non strutturati che passano da un ospedale all’altro.

Il caso degli orari massacranti

L’accusa in giro per l’Italia è di trovarsi dinanzi, mentre si sta male e si ha paura in un reparto deputato alle urgenze e alle emergenze, un medico che magari ha già sulle spalle 36 ore di lavoro, non è più lucido per giudicare la gravità di un trauma o di un malore e per fare una diagnosi, oppure anche un giovane fresco di laurea con nessuna esperienza se non un professionista anziano, non aggiornato, e non più in grado di intuire con immediatezza quale sia il percorso più idoneo per un paziente in pericolo per il quale occorre agire rapidamente e la salvezza può essere questione di minuti. 

I gettonisti fanno 90 turni al mese a Vicenza

Anche a Vicenza, al San Bortolo, come negli altri ospedali dell’Ulss Berica, entrano in gioco ogni giorno e ogni notte, ormai da tempo, i gettonisti. In un mese 90 turni a Vicenza e 30 a Noventa. Sono necessari. Perché senza di loro il pronto soccorso non andrebbe avanti, o, meglio, i turni non potrebbero essere coperti. Accade in tutta Italia. Gli ospedali sono senza medici. Dalla Campania al Piemonte. Dalla Sicilia al Veneto. Nei mesi scorsi si sono dimessi in blocco in varie regioni. Una notizia degli ultimi giorni è che nel pronto soccorso di Ciriè, in provincia di Torino è rimasto solo il primario, che ora viene affiancato da gettonisti di una cooperativa di Roma che giungono in areo e lavorano a turno ognuno per una settimana. Anche Vicenza non si sottrae a questa situazione di difficoltà. Il lavoro non finisce mai, la gente assale sempre più il pronto soccorso, ancora di più il sabato e la domenica, e l’organico medico è ai minimi termini.

Il primo intervento del S. Bortolo dovrebbe avere 31 medici

Secondo gli standard della Simeu, la Società italiana di medicina di emergenza-urgenza, il reparto di primo intervento dell’ospedale di Vicenza dovrebbe avere 31 medici, e, invece, oggi, può contare solo su 12 specialisti di ruolo con la prospettiva, fra l’altro, di arrivare presto, fra chi andrà in pensione, chi non è in servizio per ragioni varie o chi è malato, a un terzo della pianta effettiva. Per questo è indispensabile rivolgersi a una cooperativa di libero-professionisti che copre tre turni giornalieri di servizio, uno di giorno, dalle 8 alle 20, in cui il gettonista, delegato ai codici minori, lavora a fianco di due medici strutturati, e due di notte, dalle 20 alle 8, quando accanto a loro c’è solo uno strutturato. Oltre a loro anche professionisti non di cooperative e medici di altri reparti che vengono pagati con un gettone doppio. A Noventa, poi, i turni di notte sono coperti esclusivamente da gettonisti. Insomma, ormai i non strutturati sono la stragrande maggioranza. La dg Giusy Bonavina prende però le distanze da inchieste generalizzate e da j’accuse alla rinfusa. 

«Qui da noi non è così. E, per quanto ci riguarda, queste accuse non sono per nulla attendibili. Quando è capitato in passato, ma sono stati casi episodici, che uno di questi medici, non per capacità professionali ma per incompatibilità ambientali o perché poco adatto a gestire una realtà da pronto soccorso, non ci sia parso idoneo, non abbiamo fatto altro che chiedere alla cooperativa di sostituirlo. E così è stato fatto. Non è vero che questi medici non abbiano esperienza. Sono specialisti che hanno all’attivo migliaia di ore di lavoro. E, poi, sono quasi tutti professionisti usciti dal servizio sanitario pubblico. Non ci sono medici inventati. Sono per lo più persone che per anni hanno lavorato negli ospedali e che, a un certo punto, hanno deciso di rispondere alla chiamata delle cooperative perché guadagnano quello che vogliono e lavorano quando lo desiderano».

Franco Pepe

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