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Vicenza

La 'ndrangheta a Vicenza, 200 mila euro nella villa dell'ex moglie del boss

La guardia di finanza ha sequestrato 3 orologi di lusso e 20 mila euro a Violetta Prezioso legata al broker della droga latitante Bruno Carbone

L’ex moglie del boss del narcotraffico vive ad Arcugnano: dopo la perquisizione via quasi 200 mila euro tra orologi di lusso e contanti. Il nucleo di polizia economico-finanziaria della compagnia di Vicenza, coordinato dal comandate, il colonnello Cosmo Virgilio e diretto dal tenente colonnello Francesco Sodano, hanno fatto irruzione nelle prime ore di giovedì nell’abitazione di Violetta Prezioso, 50 anni, ex moglie di Bruno Carbone, broker della droga legato anche alla camorra che è considerato nel “gotha” del narcotraffico mondiale che è ricercato da anni e che, secondo le ricostruzioni più recenti, starebbe vivendo una latitanza dorata a Dubai. Non è dato sapere se il superboss abbia mai messo piede nel Vicentino ma quello che è sicuro è che l’operazione coordinata dalla procura della repubblica di Reggio Calabria ha cercato un contatto tra Carbone e l’ex consorte. 

La perquisizione nella villetta dell'ex moglie del boss Carbone

La perquisizione Le fiamme gialle hanno rivoltato come un calzino l’abitazione di Prezioso in via Torre e, nello tsesso stabile, anche la pizzeria che è intestata alla sorella di lei. Il controllo è stato fruttuoso, perché i militari hanno potuto trovare ben 20 mila euro in contanti che erano conservati in letti a cassone e tre orologi Audemars Piguet dal valore di 50 mila euro ciascuno. I finanzieri si erano presentati anche con un’unità cinofila per verificare che non ci fosse disponibilità di sostanza stupefacente ma il controllo, da questo punto di vista, è stato negativo. Nessun provvedimento è stato emesso dalla procura di Reggio Calabria a carico delle due donne controllate ma comunque tutto quello che è stato rinvenuto è stato posto sotto sequestro perché il rischio è che sia collegato al latitante campano.

L’operazione I militari coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal Giovanni Bombardieri hanno eseguito arresti e perquisizioni anche a Reggio Calabria, Vibo Valentia, Bari, Napoli, Roma, Terni, Milano e Novara. In 34 sono finiti in carcere, due invece sono ai domiciliari perché ritenuti parte di un «traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravato dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta». Le perquisizioni e i sequestri, invece, sono state concluse per portare a termine «provvedimenti cautelari finalizzati alla confisca di beni e disponibilità riconducibili ai membri dell’organizzazione, fino alla concorrenza dell’importo di oltre 7 milioni di euro, nonché dell’intero patrimonio aziendale di due imprese attive nel settore dei trasporti ed utilizzate per il compimento degli illeciti». L’operazione è l’epilogo di indagini lunghe e articolate che hanno portato al sequestro di quattro tonnellate di cocaina per un controvalore di circa 800 milioni di euro. Le indagini sono state condotte dal Gico, il Gruppo investigazione criminalità organizzata del nucleo di polizia economico finanziaria di Reggio, con il coordinamento della Dda locale e il supporto di Eurojust.

Gli inquirenti ritengono sia stato di fondamentale importanza il coinvolgimento delle più importanti agenzie europee e internazionali dedite al contrasto dei crimini transnazionali, come Europol, Dea e Dcsa. L’operazione ha consentito di destrutturare una diffusa organizzazione criminale attiva all’interno dello scalo portuale di Gioia Tauro. Questo sistema oliato e ben strutturato avrebbe in definitiva garantito il recupero di ingenti partite di narcotico giunte a bordo di navi cargo provenienti dal Sudamerica ma anche il successivo stoccaggio della droga in depositi sicuri.

L’organizzazione, che avrebbe assicurato la logistica del narcotraffico come se fosse una vera e propria società di servizi, era articolata su tre livelli: esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta, in grado di garantire l’importazione delle partite di cocaina in arrivo dal Sudamerica; coordinatori delle squadre di operai portuali infedeli che avrebbero retribuito la squadra con una parte della “commissione”, variabile tra il 7 e il 20% del valore del carico e operatori portuali incaricati di estrarre la coca. 

Karl Zilliken

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