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Sanità

Mancano camici bianchi. E un vicentino su tre è senza il medico di base

Medici di base. La crisi divampa. Nell’Ulss Berica ci sono 108 zone scoperte. Nel Veneto sono quasi 600. Significa che il 18% sono da noi, a Vicenza e dintorni. Mancano 108 medici. Calcolando per ognuno di loro un carico medio di 1500 pazienti significa che, attualmente, 162 mila persone su mezzo milione di residenti, oltre il 30%, 3 vicentini su dieci, non hanno un medico di famiglia. E sono tanti. È la carenza più elevata di tutta la regione. È emergenza reale. 
Per giugno il comitato aziendale dell’Ulss ha bandito incarichi provvisori per circa 6 mila assistiti. E può concorrere chiunque. Anche un tirocinante. La forza lavoro dei medici di base è in continua erosione. Oggi in servizio ce ne sono 284: 179 fra Vicenza e i Comuni del distretto est; 105 nell’area del distretto ovest. Le cose peggioreranno ancora. Solo nel 2025 l’emergenza forse comincerà a cessare. Il baratro più profondo fra due anni. Nel Veneto entro dicembre 2024 andranno in pensione altri 800 medici, quelli che hanno preso la convenzione nei primi anni Ottanta. 
Nell’Ulss Berica a congedarsi saranno circa 150. Oggi a soffrire di più è tutto il territorio a sud del perimetro aziendale da Torri di Quartesolo a Noventa. La carenza di medici di famiglia, che una volta colpiva più la città, ora si fa sentire soprattutto qui. Ma i problemi sono in agguato dovunque. Il problema per eccellenza oggi è questo. Basta che, da un giorno all’altro, vadano in pensione un paio di medici e all’improvviso si aprono falle enormi che nessuno è in grado di coprire. I ricambi sono pochi, questa professione non attrae, la domanda sale, e il saldo è sempre negativo. Difficile anche riuscire a parare i colpi. Una volta questi medici convenzionati arrivavano fino in fondo. Prima dei 70 anni quasi nessuno chiudeva l’attività. Ora lo scenario è cambiato. Se ne vanno via prima, anche perché a 68 anni hanno già maturato i requisiti per entrare in quiescenza. Anzi c’è chi preferisce aggiungersi all’elenco dei pensionati ancora prima anche rimettendoci qualcosa sul piano economico. 
Pandemia, eccesso di burocrazia, superlavoro, sostituti che non si trovano, stanchezza che si accumula, tra i fattori che hanno fatto scatenare un trend che continua ad alimentare disagi e preoccupazione. Né l’Ulss può fare miracoli. I medici di base hanno lo status di liberi professionisti. Nessuno può obbligarli. Possono aprire o chiudere l’ambulatorio, spostare la sede da una zona all’altra senza che l’azienda, che ne gestisce la convenzione con il servizio sanitario, possa fare nulla. 
Lo conferma Achille Di Falco, direttore dei servizi socio-sanitari dell’Ulss 8: «Ci sono zone che stanno bene, che hanno medicine di gruppo e un numero sufficiente di medici, e realtà molto carenti. Purtroppo né noi né i sindaci abbiamo possibilità di spostare un professionista. Non ci sono armi particolari. Non possiamo dare ordini a nessuno. Per questo stiamo adottando una strategia comune per rendere gli ambienti più gradevoli, favorire le aggregazioni in modo che i giovani medici si sentano più protetti quando cominciano questa esperienza, perché altrimenti se si rendono conto di essere soli e più esposti tornano indietro. Poi occorre riprendere una certa attività educativa della popolazione per ridare fiducia e creare un tipo di organizzazione-magnete che piaccia alle persone. È un lavoro lento, non semplice, che risente del quadro generale, del fatto di avere 108 zone carenti. Io, però, ci credo. Anche perché altre strade non ce ne sono. Dove abbiamo cominciato a fare questa operazione con i sindaci, con i medici, sembra che arrivi qualche risposta in più». C’è bisogno di metodo, dice. «Io i medici li incontro tutti perché, d’accordo con la dg Bonavina, solo così insieme con un lavoro di squadra in modo trasparente si può capire dove poter arrivare. Noi dobbiamo fare da traino, da esempio, dimostrarci abili, competenti, capaci, accoglienti, affidabili, rispettare promesse e tempi».
La prima via rimane quella di favorire le aggregazioni. Con le medicine di gruppo. «Siamo un’azienda – spiega Di Falco - che ha ancora un discreto numero di medici singoli. Invece dobbiamo accompagnarli verso un’organizzazione più organica che è almeno la medicina di gruppo. Su questo stiamo lavorando tutti i giorni. È il volano per attirare più medici».

Franco Pepe

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